La Bibbia: sta al centro del decimo volume di un’opera in corso e illimitata ricognizione di Roberto Calasso nella vicenda umana del pensiero, dell’arte e forse della profezia. Mai come in questo caso si ha l’impressione di esserci avvicinati al cuore infuocato, inquieto, che definisce l’umanità dal buio dei millenni passati a oggi, da Adamo a chi verrà dopo di noi. La narrazione s’incarica di un compito enorme, illustrando le strane idee di Iahvè demandate alla Torah scritta e depositata – in un tempo incerto – in mezzo agli uomini. Una figlia che 974 generazioni prima della creazione del mondo venne considerata Legge, sapienza e chissà che altro. Da lì in poi uccisioni, sangue, questioni terrorizzanti ingarbugliano il fitto mistero di uomini, di bestie e dell’intero mondo. Non è facile raccapezzarsi fra incroci di generazioni e il continuo intervento “divino”, artefice di un destino oscuro e avventuroso. Grande merito di Calasso è presidiare il racconto come fosse la più semplice novella, trasformando i fatti crudeli, quasi mai paralleli al senso comune, in qualcosa di unico e francamente inevitabile. Le genti nostre genitrici sono spesso state sul punto di scomparire dalla faccia della terra, temibile presunzione a cui ci si è avvicinati in varie occasioni. L’obbedienza pretesa da Iahvè ha racchiuso gli Ebrei in un destino ineluttabile, ha reso eccezionale la storia di Israele fino al punto massimo dell’umana comprensione. Basti pensare alla storia del Novecento, a Freud e al completo scioglimento della speranza.
Capitolo dopo capitolo, brano dopo brano, assistiamo a una totale dilatazione del tempo: arduo individuare l’incrocio delle stirpi, nonostante si manifestino nomi, come quello di Mosè, che ci accompagnano fin dall’infanzia attraverso favole, catechismi e film hollywoodiani. La Bibbia narrata, secondo il patto stabilito da Calasso fin dal 1983 con La rovina di Kasch, si estende come un mantello – per nulla protettivo, sia chiaro – sulle nostre vite, una sorta di estremo conguaglio dei debiti accumulati. È l’avventura, non teologica, del Dio che decide di far fuori tutti gli dèi nella loro maggior sede, l’Egitto, con conseguente strage di popoli e di siti babelici. Se non fosse che viene individuato, ogni volta, un personaggio che filtra le potenze e rende una misura umana alla Legge già stabilita. Non senza perdite e sacrifici terribili, in ogni brano non mancano catastrofi millenarie e sovrapposizioni infinite delle storie.
Dalla Genesi all’irreversibilità del tempo, stabilito una volta per tutte, tocchiamo con mano la violenza della Torah che sembra minimizzare l’avvento del Messia, desiderosa di non vedere disturbata la primigenia Sapienza. Calasso vorrebbe mettere ordine nel congenito scompiglio della Torah, ma non può passare inosservata la sua laicità: l’uomo del Novecento è molto diverso da Saul e Samuele, egli ha visto, e forse nemmeno Iahvé l’aveva presagito. Il lampo dei millenni è niente per la Legge ma qui da noi anche i discendenti di Mosè sono stati uccisi eludendo qualsiasi profezia. Senza contare che l’avvertimento era chiaro, il Messia poteva passare inosservato, attento soltanto a piccole e sconosciute cose: ma sappiamo come è andata, il Nuovo Testamento è tutta un’altra storia.