Biancamaria Frabotta si rimette al mondo ora che lo ha abbandonato lasciandoci memori della sua lezione, per complessità e diverse angolazioni al centro della poesia del secondo Novecento, e parte più nobile del pensiero femminile e storicamente femminista. Da Il rumore bianco del 1982, accolto da Antonio Porta nella collana “gialla” di Feltrinelli da lui curata, la sua ricerca del rimedio al male congenito negli umani ha lasciato ampi segni, destini: ampie visioni molto terrene e contrarie agli statuti omologanti. Non senza la presenza quotidiana di figure (soprattutto donne) capaci di amare ed essere amate nel puro corpo della scrittura e nel mirabolante mondo familiare. Una commozione diretta e mai spenta verso la poetessa Giovanna Sicari, per esempio, ben presente nella raccolta Da mani mortali (2012) e nell’ultimo, estremo, Nessuno veda nessuno. Biancamaria l’ha sentita a lei accanto, profilo romanico e vigile, in tutti gli errori che ci legano al mondo e nella dignità di una poesia condivisa, unita.
Figura impaziente e transitiva, non va confusa nelle categorie né consentire congelamenti ora che Frabotta non è più fra noi, soprattutto ora che l’ultima realtà umana è entrata a dismisura in questo libro denso di tempo e cose, di diffusiva meditazione che non dà – sotto vari aspetti – scampo. Poiché le resistenze del vissuto si sono confuse nelle pieghe non solo temporali dello spazio umano, Frabotta si inclina verso ciò che può verificare, e il risultato lo si legge in versi di realtà vera, forme tra le forme in cui il dialogo non cessa. Fino all’ultimo respiro.
Nello spartiacque della storia sta tutto il lavoro di Frabotta, sempre contingente e assestato nella trasformazione. Quest’ultima mai lasciata da sola nei propri sempiterni disastri. Ma tallonata fino agli ultimi contesti epidemici e bellici. Epoca ha voluto che tale fertile ed “eterno lavoro” trovasse il muro temporale oltre il quale non si può andare. Ma come non pensare che Nessuno veda nessuno possa porsi come robusto mattone di una ricerca contemporanea nell’ordine di una mediazione verso il futuro? Intanto questo è il presente: la poetessa lo fotografa in un lampo e lo pubblica in quel “muro temporale” che tutti noi concerne. Imprescindibile, certo, e “notturno” rispetto alle recenti vicende poetiche. I pensieri sbandati sono sempre stati al centro dell’attenzione mai prona di Frabotta, né arrendevole (a tal proposito si può rileggere Quartetto per masse e voce sola, del 2009) e dove alberga il racconto della “doppia salvezza” di parola e corpo. Mentre l’epoca giungeva al suo compimento, il teatro degli affetti non poteva logorarsi nell’eterna guerra fra natura e storia individuale. Al termine di questa raccolta, leggendo gli ultimi versi dovremo chiederci in che modo, ed eventuale priorità, Biancamaria amasse gli esseri umani più che la poesia. Ma nell’anima delle cose c’è tutto, la memoria remota e la futura, stabile nell’orologio del proprio corpo (“divenni femmina, nel linguaggio, prima che nel corpo”) come poetessa ha guardato alle creature e a tutti i possibili alfabeti messi in campo nei decenni del Novecento, innocenti o insalubri, mai dimenticando la percorrenza e le diverse angolazioni nella libertà.
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Pulp Libri ha pubblicato il 9 aprile 2018 la recensione a Tutte le poesie di Biancamaria Frabotta