Ho letto tutti di seguito gli oltre ottanta articoli che compongono la bella raccolta di Bernardo Valli, Se guardo altrove. Una lettura quindi diversa da quella della destinazione originaria. E mi sono soffermata sul titolo solo dopo, dopo averli letti tutti, dopo averli lasciati decantare, dopo averci pensato su. Mi ci sono soffermata quando mi sono chiesta come avrei fatto a raccontare questo libro e questa esperienza. Anche perché quando si legge in elettronico, che sia un pdf di lavorazione o un epub definitivo, il titolo lo si vede solo all’inizio, e non ogni volta che si chiude il libro, come si fa con i cartacei. Così riguardando il titolo ho pensato: ecco, un titolo preciso e sintetico, che in due parole racchiude l’essenza di questa raccolta. Guardare altrove è un modo di vivere. Una scelta precisa che non vuol certo dire, in questo caso, distogliere lo sguardo. Vuol dire piuttosto indirizzarlo a quello che è nuovo, diverso, inconsueto, misterioso, incomprensibile, affascinante. E l’altrove è un luogo ma è anche un quadro, uno scrittore, un pittore, una musica, un’esperienza. L’altrove può essere sotto il nostro naso e il nostro sguardo non riesce a vederlo.
La curiosità, l’occhio, le orecchie, l’anima di Valli sono sempre, costantemente, attentamente, attivamente rivolte all’altrove, dovunque questo si trovi. Da inviato di guerra l’altrove era tutto sommato facilmente identificabile. Ma i pezzi contenuti in questa raccolta sono pezzi non da inviato. Sono pezzi culturali, e qui l’altrove è spesso a casa, in Francia o addirittura a Parigi, dove Valli ha passato buona parte della sua vita. Ma è un altrove concettuale, culturale, talora metafisico. Il cui compendio è così corposo, così vario e così interessante da poter essere letto tutto di fila, come si fa per i romanzi. Dal 1962 al 2019 sono più di cinquanta anni, e si va da Jean-Paul Sartre a Emmanuel Carrère e Stieg Larsson. Dal poeta Lorenzo Calogero, sconosciuto ai più e scoperto da Leonardo Sinisgalli (ultimamente un po’ meno sconosciuto) a Claudio Magris. Da Paul Cézanne a Jackson Pollock. Da Albert Camus a Jonathan Littell. Da Edmund White a Vasilij Grossman. Si parla di Rostropovich, dell’inaugurazione del Beaubourg, di Macron. Si parla della controversa mostra delle immagini di Birkenau e di William Klein. Ci sono i grandi classici, Saint-Simon e Montaigne e Voltaire e Proust. Ci sono i grandi eventi, il maggio del ’68, il muro di Berlino, il cambio di secolo. Ci sono i grandi personaggi: Claude Levi-Strauss, Louis Buñuel, Graham Greene, Leonardo Sciascia, Jean Dubuffet, François Furet.
Scritti per “Il Giorno”, “Corriere della Sera”, “La Stampa” e “La Repubblica”, gli articoli sono recensioni di libri, interviste, pezzi di commento. Sempre caratterizzati da uno sguardo che è aperto, che abbraccia senza pregiudizi quello che accade, ma che non nasconde gusti e opinioni, considerazioni e riflessioni personali. Dal 1962 al 2019 vuole anche dire che si tratta di un libro diverso a seconda di chi lo legge: può essere un viaggio di ricordi e ritrovamenti per chi ha vissuto quei tempi, e un’esperienza di confronto con il proprio sguardo, oppure un’avventura alla scoperta di un passato recente e di come lo si può raccontare. E poi ci sono, tra le righe e talora anche esplicitati, i temi cari a Valli e al suo lavoro: cosa vuol dire essere un inviato, cosa è davvero uno scoop, che cos’è il giornalismo, cosa vuol dire leggere e scrivere di un libro, come si fa a intervistare un grande personaggio. Non sono i trucchi del mestiere ma un’etica, un approccio mentale e professionale che valeva cinquanta o sessanta anni fa ma che vale tuttora, nonostante i cambiamenti enormi che si sono verificati nei mezzi di comunicazione e nonostante le condizioni completamente diverse in cui i giornalisti si trovano a lavorare. Il rispetto dei fatti e delle persone di cui si parla, la consapevolezza che il proprio è solo uno dei possibili punti di vista, il sapere che quel che si è scritto oggi domani potrebbe essere smentito o modificato perché la conoscenza avrà fatto un passo in più: tutto questo non viene quasi mai dichiarato da Valli ma viene costantemente applicato negli articoli che compongono il volume. E che come rappresentano il ritratto di un’epoca e di una civiltà – quella europea e molto anche quella francese – rappresentano anche il ritratto dell’autore, di un giornalista e di un uomo attento, colto, interessato, appassionato e divertito. In modo che il libro è anche una prova e una testimonianza di come il lavoro del giornalista ha valore solo se è fatto rispettando un’etica semplice e rigorosa, quella che si applica nelle scelte della vita. E quando ha valore è qualcosa che resta, che ci arricchisce e che ci fa bene.