Il saggio indica nella modalità «intermediale» testo/immagine propria all’intellettuale inglese il mezzo più idoneo per penetrare le figure e il «dolore» del reale
Come insegna lo studioso americano W. J. Thomas Mitchell nel suo Picture Theory, un fatto ineludibile della contemporaneità è il rapporto esistente fra testo e immagine. Questa relazione è stata spesso sacrificata su di una pacificata comparazione basata esclusivamente sulla similitudine, la somiglianza e l’analogia. Mitchell ricorda che essa in realtà si gioca più sovente su di un campo agonico, di contesa. «La differenza può essere altrettanto importante della similitudine, l’antagonismo altrettanto cruciale della collaborazione, la dissonanza e la divisione del lavoro altrettanto interessanti dell’armonia e della fusione delle funzioni».
Queste riflessioni trovano un ulteriore e peculiare sviluppo nello studio del fenomeno di artisti dotati di «doppio talento», insieme letterario e artistico, che Michele Cometa, in un saggio del 2014, cercava in via provvisoria di sistematizzare sottraendolo al rischio di psicologismo paventato da René Wellek. Cometa acutamente osserva tre macro-modalità di sviluppo dei due media nello stesso artista. Nel primo caso, arte visiva e scrittura «concrescono» indipendentemente l’una dall’altra, senza sovrapporsi; nel secondo, «le due arti, i due media, collaborano, anche se in diversa misura, alla definizione di un unico mondo immaginale»; nel terzo caso si riconoscono nella loro irriducibile diversità e alterità, e concorrono alla costruzione di una poetica intermediale.
Lorenzo Mari, nel saggio Il taccuino dell’intellettuale Disegno e narrazione nell’opera di John Berger (Mimesis, pp. 192, euro 16,00), dimostra come le tre suddette categorie ben si attaglino all’opera del saggista inglese. Soprattutto l’ultima, che trova nella forma aperta del taccuino un privilegiato luogo di intreccio tra disegno e narrazione. Proprio questo scambio intermediale è un topos della produzione bergeriana già a partire da A Painter of Our Time del 1958 (splendidamente tradotto in italiano da Luciano Bianciardi), e la forma-taccuino diviene una vera e propria scelta consapevole di poetica nelle ultime sue opere, meritoriamente curate da Maria Nadotti, di cui ricordiamo Why Look at Animals?, From A to X, A Story in Letters e Bento’s Sketchbook. La polisemia alla base di questo approccio laboratoriale della scrittura e del disegno ha permesso all’intellettuale Berger di sfuggire alle caselle dell’industria culturale, all’anestetico dello specialista, per poter mantenere vigile la sua intensità umana, critica, sociale e poetica.
Di fronte a un’opera eminentemente politica Mari è rabdomante nell’individuare le correnti di pensiero sottostanti il lavoro di Berger, dove a una certa critica marxista, intrisa di conatus spinoziano (lo sforzo cioè delle cose di preservarsi e perfezionarsi alla base della teoria degli affetti), converge un sensibile sguardo fenomenologico sul mondo teso tra il visibile e l’invisibile. «Convocando un gioco continuo e mai finito di presenze e assenze – afferma Mari –, il disegno può infatti dar conto dei processi di sparizione in atto, allo stesso modo in cui la narrazione, cui il disegno è strettamente legato, è da intendersi, a partire dalla lezione di Walter Benjamin, come forma di resistenza culturale e politica in un tempo marcato dalla dissoluzione dell’esperienza».
A ragion veduta l’autore del saggio osserva come sia proprio questa relazione intermediale a offrire un’utile chiave ermeneutica per accedere all’opera di Berger. Nel 1952, ancora in una fase fortemente influenzata dalle riflessioni di Lukács, da strenuo sostenitore del «realismo sociale» (contro il «realismo modernista» sostenuto da David Sylvester), egli afferma che «il realista comincia sempre da un particolare e sin dall’inizio cerca di dedurne una certa verità». In qualche modo si può dire che sia stata questa un’attitudine costante dell’artista e narratore. Attraverso il disegno e la parola non si è limitato a una semplice rappresentazione mimetica della realtà, ma, con uno sguardo attento al «dolore che esiste oggi nel mondo», ne ha proposto una lettura per niente pacifica e una riflessione costantemente aperta e ibrida.