C’è un sapore antico, un gusto dolceamaro di epoche passate, amate senza rimpianto, che pervade i racconti con cui Benedetta Cibrario torna in libreria con la raccolta Sono molte le cose umane. Passato e presente si intrecciano in questo mosaico delicato e fedele delle possibili sfaccettature dell’animo umano, indagato con il consueto garbo dall’autrice, che anche questa volta, e anche nella forma del racconto, ci restituisce la piccolezza e la magnificenza di ogni gesto, di ogni sguardo che si deposita sul mondo. La scrittura diventa allora strumento da maneggiare con cura, ciascuna parola è preziosa e racchiude per intero la pienezza di un significato da tramandare.
L’impressione, nell’approcciarsi alla raccolta, è quella di affacciarsi alla soglia di una dimora remota, di quelle bellissime e imponenti, impreziosite da una certa aria di decadenza che le rende magiche, irresistibilmente affascinanti. Passeggiando nei lunghi corridoi respiriamo la particolare atmosfera di ogni stanza, abitata dai personaggi dei racconti che ci accolgono, o ci respingono, elegantemente decisi a lasciare un segno del loro passaggio nel vasto panorama dell’immaginario letterario scolpito con audacia e precisione dall’autrice. Così, se è impossibile resistere al fascino delle schermaglie amorose tra una caposala e lo chef di un rinomato ristorante inglese dell’immediato dopoguerra, sarà altrettanto difficile dimenticare il tormento di chi, roso dall’insonnia, esce di casa fingendo di andare a lavorare ogni mattina, per addormentarsi alla prima panchina del parco, non immaginando di essere spiato.
La realtà ha una trama sottile, e Cibrario sa illuminarne i disegni in filigrana partendo dai bordi, rendendo visibili e accessibili spazi che credevamo bui, mulattiere che parevano impraticabili, ma che nel flusso magico delle cose umane appaiono al contempo vere e incredibili come gli elefanti di Annibale che valicano le Alpi, come l’inaspettato che irrompe nel quotidiano, come l’amore (in tutte le sue forme) che spezza le convenzioni. Tutto allora sembra possibile, o torna a esserlo grazie ai salti temporali che ci regalano l’ampiezza del disegno di cui (forse?) siamo tutti parte, mentre sottolineano la piccolezza di ciascun individuo davanti all’immensità di un universo in continuo mutamento, eppure sempre leggibile, a patto di volersi mettere all’ascolto, appunto, del “rumore del mondo”.
D’altra parte, per un ladro come per un guardiano di querce, «per tutti c’è un momento in cui ancora non si è quello che si sta per diventare».