Pierre torna da Parigi in Nord Italia, nella piccolissima Torvez dove è nato. Lo segue Ophélie, moglie riottosa poco più che quarantenne, che passa il tempo a fare bolle di sapone, a sottolineare con un po’ di provocazione la propria svagatezza. Il progetto è di rimanere a Torvez per un anno, tempo necessario a Pierre per completare una ricerca storica.
Parigi, la città dell’illuminismo, deve essere sembrata a Pierre il posto giusto per acquisire nuova identità e sicurezza emotiva: è diventato un professore universitario e ha anche cambiato nome da Piero all’attuale Pierre. Ora è Pierre che incautamente torna a Torvez pensando di essersi liberato per sempre del proprio passato e di ritrovare, altrettanto dimentichi, il gruppo di amici dell’infanzia e adolescenza che ricominciano a chiamarlo Piero.
Ma il passato è pronto a balzare fuori attraverso un truce delitto che si lega alla vecchia leggenda dell’uomo selvatico. Gli equilibri nel gruppo di amici si frantumano cadendo nel tempo stesso in un silenzio e reticenza collettiva che allontanano e mettono in sospetto l’inquieta e arguta Ophélie. La donna comincia ad indagare, mossa da intuizioni consegnate a un carnet che giorno per giorno si riempie di appunti, disegni, foglie, rametti, raccolti durante il vagabondare per il paese, suggestioni che le vengono dal paesaggio e dalle strade, presentimenti nati da relazioni e confidenze più o meno carpite dagli amici di Pierre. Personaggi tutti che conosciamo attraverso lo sguardo acuto e sapiente di Ophélie che è in realtà molto più forte e sicura di quanto lei stessa forse pensi. Non esita infatti ad andare in giro per i boschi e i luoghi dei delitti con Numa, la grossa cana della giovane Gerda, figlia della prima vittima, immediatamente giudicata innocente da Ophélie, né di fidarsi della gentilezza degli sconosciuti.
Cuore di lupo è un libro in cui l’autrice, attraverso una scrittura limpida e mai banale, regge la tensione del lettore fino alle ultime pagine. Il passato che ritorna è un classico, così come il protagonista che si improvvisa detective e si immerge nel delitto per scoprire l’assassino. Ma in questo libro, che è fino alla fine una doppia indagine, quello che davvero muove Ophélie – prima ancora che il crimine avvenga – è il bisogno di fare i conti con la ragione illuminista di cui il marito è un campione. Il desiderio di Ophélie (che trova anche il proprio godimento in questo) non è tanto scoprire il colpevole ma smascherare il marito e chiarire a se stessa le ragioni intime del proprio cuore, un cuore che empatizza di più con il lupo che con Pierre che ne esce a fine corsa con le ossa rotte.
Lasciare una persona con cui si è vissuto per 20 anni non è una cosa semplice specialmente se sei una donna come Ophélie dotata di una intelligenza trasversale e di una ricchezza interiore che si porta tutto dietro compresi i propri fallimenti professionali e l’aver per lunghi anni indugiato adattandosi, forse solo apparentemente, allo sguardo e alla parte di moglie distratta e infantile che Pierre le ha riservato.
Il lettore è quindi in tensione su un doppio binario: chi sarà il colpevole? Ophélie lascerà il marito? I due piani di indagine, esterna e interiore, sono interscambiabili, e le tracce che portano alla scoperta del colpevole Ophélie le ricava anche dallo sguardo clinico che riserva a Pierre e alla comunità di amici; gli elementi che danno ragione del delitto riverberano sulla sua relazione con il marito componendosi in un viaggio introspettivo ricco di profondità e inesorabile nelle sue conclusioni. A fare da guida a Ophélie e al lettore non è la ragione, che presuntuosamente taglia fuori ciò che non riesce a illuminare e razionalizzare, ma il sentiero fantastico e ambiguo dell’amato Maupassant e del suo racconto Horla – diario segreto di un pazzo che Cuore di cane omaggia.