Becchini e assassini

Jim Knipfel, Esequie, tr. Beatrice Gatti, Bompiani, pp. 272, euro 17 stampa, euro 9,99 ebook

Jim Knipfel non è mai stato quello che si dice un tipo fortunato. Nato nel 1965 a Grand Forks, North Dakota (la base dell’aviazione americana dov’era di stanza il padre), al momento del parto il cordone ombelicale gli si annoda intorno al collo, rischiando di strangolarlo. A tre anni deve trasferirsi con la famiglia a Green Bay, nel Wisconsin, dove ci sarebbero tutti i presupposti per «un’infanzia idilliaca, solidamente borghese». Tuttavia, gli diagnosticano una rara malattia genetica dell’occhio, la retinite pigmentosa, che in breve tempo lo rende cieco.

«Se ciò non bastasse», scrive, «a venticinque anni circa ho scoperto di avere una lesione nel lobo temporale sinistro del cervello, che a mia insaputa mi stava conducendo, lentamente ma inesorabilmente, alla pazzia». Nel 1999 ha raccontato la sua storia nel primo dei suoi memoir, intitolato Slackjaw come la rubrica settimanale che dal 1987 tiene sul Welcomat di Philadelphia (oggi Philadelphia Weekly). Le recensioni hanno accostato il libro al Giovane Holden di Salinger per l’intelligenza irriverente, paragonando la storia delle disavventure giovanili dell’autore alla vita di un personaggio beckettiano: «caustica, asciutta e oggettivamente malinconica». Thomas Pynchon, che raramente rompe il silenzio per scrivere qualcosa che non sia un romanzo di almeno 700 pagine, ha apprezzato e lodato Slackjaw, definendo Knipfel «un narratore nato, con un acuto spirito d’osservazione e un senso dell’umorismo simpaticamente folle» (stranamente, o nemmeno troppo, quest’ultimo aggettivo non è stato incluso nel blurb riportato nella particolare – e azzeccatissima – copertina dell’edizione Bompiani di Esequie, “perforata” da sei buchi di proiettile che lasciano trapelare la sottocopertina rosso acceso).

Pynchon aveva concluso l’elogio con l’augurio che Knipfel «possa a lungo continuare a stupirci». Il mondo dell’editoria, però, non sembrava essere di questo avviso, stando a quanto riporta l’autore: «A ogni libro che scrivevo gli editori mi dicevano sempre la stessa cosa: “È che non possiamo più permetterci di far uscire un altro di questi tuoi strani, bizzarri romanzi” (Ogh, quanto odio ormai la parola “bizzarro”). Uno di loro mi ha persino detto chiaro e tondo che se volevo continuare a essere pubblicato bastava che scrivessi un grande bestseller mainstream. Tutto qua». Knipfel comincia allora a scrivere un giallo convenzionale, «il più possibile attraente per il grande pubblico», prendendo spunto da un ritaglio di giornale che gli aveva mandato il padre a proposito dell’omicidio di un becchino avvenuto a Hudson, nel Wisconsin. Ma Jim Knipfel non è mai stato nemmeno un tipo accomodante: arrivato a pagina tre di quello che sarebbe diventato Esequie decide di «lasciar diventare il libro ciò che doveva essere sin dall’inizio», perché «non puoi lottare contro la tua natura».

Lascio al lettore il piacere di affrontare la lettura di Esequie come l’ho intrapresa io: senza nulla conoscere della trama (che all’inizio sembra piuttosto convenzionale ma che si evolve in modo tutt’altro che scontato), della tecnica narrativa (frammentata e soggettiva, quasi cinematografica), dei personaggi (indimenticabili e “bizzarri” come il loro autore), del linguaggio (vivace, umoristico e sarcastico, con dialoghi pungenti e botta-e-risposta teatrali, quasi da vaudeville). La vera protagonista è la comunità di Beaver Rapids, nella contea di Kausheenah, nel Wisconsin centroccidentale, in un’America distante anni luce dalle grandi metropoli del crimine – New York, Los Angeles, Chicago – dove la polizia è abituata agli omicidi efferati e alle relative indagini, agli interrogatori, alle sparatorie e agli arresti.

Lo sceriffo Koznowski non sa nulla di omicidi se non quello che ha visto nei film, ma in compenso conosce a menadito il posto dove è cresciuto: dalla tavola calda con la statua di «un maiale sorridente alto quattro metri e mezzo con un cappello da chef e un vassoio carico di enormi hamburger con una misteriosa guarnizione verde» che ogni due o tre anni viene rubata da qualche buontempone ubriaco, allo Slab City Bar che accoglie gli avventori con «la Grande Carpa, una meraviglia di oltre cinque metri di fibra di vetro, inarcata e guizzante come un marlin», fino alla trattoria da Buzz, dove si mangia il pesce più buono della contea osservati da «mostruosi trofei catturati da pescatori locali» e appesi alle pareti. Ora un becchino è stato ucciso insieme al suo assistente. Aveva ricevuto minacce di morte anonime, ma una delle lettere contiene – stupidamente? – l’indirizzo del mittente. Niente di più facile. O no?

I fratelli Coen incontrano David Lynch e decidono di ambientare la nuova stagione di Fargo a Twin Peaks; Frankenstein Junior girato nella provincia americana e interpretato da Jeff “Lebowski” Bridges nella parte dello sceriffo Koznowski; la serie Six Feet Under sceneggiata e scritta da Nic Pizzolatto di True Detective: non è facile inquadrare il romanzo di Knipfel, un’opera poliedrica, spinosa, impossibile da afferrare perché spiazza a ogni pagina. Persino i nomi “pynchoniani” dei personaggi oltrepassano ogni livello di credibilità: il becchino Klaus Unterhumm e il suo assistente Kirby Mudge, Padre Tim di San Tim (per lui i colpevoli sono sempre i comunisti), il venerabile (e completamente folle) reverendo Euglina Boefinck e suo figlio Ezekiel, soprannominato “Gesù”, che abitano a Prar du Morte, e – il mio preferito – il sergente Frank Susparagus del dipartimento di polizia di Eagle Bluff, personaggio minore ma dal nome indimenticabile. Knipfel è certo che la trama di Esequie racchiude «tutta la stranezza intrinseca dello stato» del Wisconsin, e che ha anche tutte le carte in regola per diventare «un bestseller da New York Times». E ci tiene a farci sapere che la colonna sonora ideale per la lettura è il Parsifal di Wagner: «Se conoscete l’opera, sapete perché».

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