L’osso, l’anima è la quinta silloge di Bartolo Cattafi (1922-1979) ed esce per Mondadori nell’autunno del 1964. Scrive il trentenne Giovanni Raboni nella nota di copertina: “Si direbbe che l’esperienza poetica di Cattafi vada conquistando gradatamente, brano dopo brano, una superficie sempre più vasta, cancellando i suoi primitivi connotati geografici per farsi sfondo o scenario di una vera e propria avventura metafisica”. La casa editrice Le Lettere festeggia il centenario del poeta siciliano e ristampa l’opera (considerata la più importante) con una corposa introduzione e un commento finale di Diego Bertelli. Il curatore tenta di ripercorrere l’“effetto” suscitato dalla raccolta alla sua uscita, ponendo l’accento sul tramonto di ogni orizzonte ideologico (pre-montaliano, se si pensa a Satura) e su un’idea di poesia che sia anzitutto “verifica del mondo”.
L’osso, l’anima si divide in due tronchi temporali: Aprile ’57-Febbraio ’61 e (il più esteso) Novembre ’61-Dicembre ’62, al cui interno figurano in forma asimmetrica alcune macrosezioni, rispettivamente Qualcosa di preciso da un lato, e Il come il quando il dove, Sagoma 1, Avviso, Sagoma 2 e La campagna d’autunno dall’altro. Eccentrico e isolato, post-ermetico di lusso, “visionario e anarchico” (Luperini), accusato ingiustamente di epigonismo, Cattafi ha l’intento petrarchesco di “far coincidere la storia dei suoi versi con la propria storia umana”, in una miscela esplosiva di arte e verità che nulla concede a pose estetizzanti. Come ha sottolineato Raoul Bruni, la lirica cattafiana, proprio a partire da L’osso, l’anima, si assesta pavesianamente su “polarità opposte” che toccano il vuoto e il pieno, l’assenza e la presenza, l’idea e l’oggetto, la morte e la vita, il niente e Dio. E di pavesiano ha forse il tragicismo (che è però tipico di certa letteratura sicula) orientato in direzione di un “antagonismo titanico”, secondo Luigi Baldacci, ovviamente contra malum. “Campione del dubbio come mezzo per giungere alla verità […] e dell’imprevisto come espediente per descrivere la realtà” – osserva Bertelli –, Cattafi scorge pur tuttavia nella trascendenza un’“umile accettazione”: “Oggi ignorando tutto / di questo giorno, / se d’Avvento o Passione, / ignorando i colori, le pianete, / m’inginocchio nella tua casa / sotto la tenda che portiamo ovunque / per aprirla per chiuderla a tua offesa, / aprirla ancora, nei boschi / in fuga, su secche, su frangenti, / dal capolinea a un punto della corsa. / Non frugarmi, non chiedere. / Tu sai il perché d’un labbro / che tremando si sporge più dell’altro. / Accoglimi. / Assieme ai pesci sguazzanti all’ingrasso / nell’acqua del Giordano / nella tua conca di marmo, / ai due cani / ringhiosi clandestini / che baruffano nell’angolo più buio / della tua navata” (Oggi).
Se l’attitudine spirituale è generalmente percorsa da un brivido veterotestamentario, anche il mito – particolarmente quello ulissiaco – ha un ruolo di privilegio nella declinazione di nostos e approdo (“Il faro è visibile, vicino, / il mare anche nell’alto / inverno è caldo, / sabbia candida e fine, in questa/ stagione non è caro. […] Scivola, vola, / non immergere un dito, / non indagare sulle squame d’indaco. / I vecchi ingranaggi sono pronti / e precisi, prudenti. / Udrai anche cantare. / Scappa, metti / ali ai piedi / tappi di cera agli orecchi”, Baedeker). Nei versi cattafiani, solitamente fluidi e secchi, dotati di singolare “freschezza lessicale”, si coglie quel bisogno di guida che è poi spia della tensione surrealistica allo smontaggio e al rimontaggio di una realtà avvertita come ineffabile, gravata da errori prospettici. Ed ecco spiegato il titolo: il simbolo, l’osso, non si può sovrapporre all’inconoscibile elemento che vuole effigiare, l’anima. I due enti sono giustapposti l’uno accanto all’altro, senza che ci sia piena relazionalità. Qualcosa si è rotto nel correlativo oggettivo: “Perso l’oggetto / del nostro contrabbando”. Ma la speranza in una ulteriorità sembra ancora a portata di mano: “Con una maglia di lana, con qualche / fiammifero bagnato. / Gli andammo il più possibile vicino. / Per provocarLo, leggere, tentare” (Sul finir dell’estate).