Barry Gifford / La geografia del Paradiso

Barry Gifford, Wyoming, tr. Michela Carpi, Jimenez, pp. 107, euro 18,00 stampa

Metti un bambino di nove anni e sua madre, in macchina, sulle strade d’America degli anni Cinquanta. Un ininterrotto andare per pianure immense, città affollate, paesi sperduti, campagne, praterie, motel: un mondo che scorre dai finestrini, selvaggio e civilizzato, reale e onirico, concreto e simbolico. Un paesaggio sempre mutevole osservato e interpretato con gli occhi creativi dell’infanzia, frammisto a canzoni e notiziari ascoltati alla radio, ai ricordi d’una famiglia orbata del padre e marito, presenza elusiva e fantasmatica, come quella di nonni, parenti e conoscenti che provano a riempire una solitudine ineludibile. È il tema del romanzo di Barry Gifford uscito nel 2000 e ora proposto in Italia dall’editore Jimenez con la traduzione di Michela Carpi.

Romanziere, poeta, saggista e sceneggiatore, Gifford costruisce un racconto intessuto di solo dialogo, un fitto conversario altamente suggestivo, diviso in agili capitoletti, dove il linguaggio si fonde col paesaggio americano, la vita si svolge on the road, in un continuo divenire, tra una tappa e l’altra di un interminabile andare, con un passato sfumato e un futuro inattingibile, com’è nella tradizione narrativa statunitense che ha trovato forma poetica negli scrittori della Beat Generation.

Smessi i panni di Sailor e Lula, giovani ribelli in fuga portati sullo schermo da David Lynch con Cuore selvaggio, la nuova coppia creata da Gifford, una madre e un bambino, permette all’autore di scandagliare da un punto di vista diverso gli aspetti della realtà americana, interesse precipuo anche dei suoi lavori di nonfiction. Il risultato è altamente poetico, a tratti struggente, poiché Roy, il piccolo protagonista, sa penetrare il senso profondo delle cose. La sua intelligenza, lo spiccato spirito d’osservazione, la grande empatia, la visione innocente dell’infanzia tuttavia già segnata dai dolori della vita gli permettono di cogliere gli aspetti più reconditi della realtà, di attingere ai significati più autentici dell’esperienza. Il “suono del fiume”, una strada rossa, delle anatre in uno stagno, l’anima e il cervello di dinosauri, serpenti, fenicotteri e coccodrilli, cavalli selvaggi liberi di correre in sterminate praterie, nomi di città che evocano il fischio d’un treno, paurose notizie di orrendi delitti, la natura in tutta la sua bellezza e terribilità, eventi astronomici, sfocati individui che hanno attraversato la sua breve vita: questo e altro lo portano a riflettere con sua madre su temi quali la libertà e la costrizione, la saggezza e la follia, la giustizia e l’ingiustizia, l’uomo e il destino, l’oblio e l’importanza del ricordo.

Nei viaggi per le sconfinate regioni americane, dal Michigan alla Florida, dal Kansas alla Louisiana, dagli stati orientali a quelli del Midwest, attraverso la forza magica della parola, Roy costruisce una sua “geografia del paradiso”, un luogo della mente incontaminato e sicuro dove trovare una possibile felicità: il Wyoming, terra di campi sconfinati visti su una cartina geografica, spazio ideale dove correre a perdifiato con un cane, dove il male non potrà mai raggiungere lui e la sua adorata madre, un rifugio dove nascondersi nei momenti di crisi e di dolore.

Roy è il discendente di una lunga tradizione di giovani personaggi che attraversano la letteratura statunitense, da Huckleberry Finn agli adolescenti còlti nel momento dell’iniziazione alla vita di Faulkner, di Hemingway, di Salinger. Attraverso il suo punto di vista, con il dialogo intenso e allo stesso tempo rarefatto che intreccia con sua madre, donna saggia e misurata, autosufficiente e concreta ma aperta alla dimensione onirica della vita ­– figura femminile ben diversa da quella stereotipata costruita negli anni Cinquanta del secolo scorso –, si mette dunque a fuoco l’immaginario di un’America che di lì a poco avrebbe perso per sempre la sua “innocenza”, drammaticamente incrinato il mito fondativo del sogno di piena autorealizzazione nazionale e individuale. E proprio come in un film, accompagnati dal dialogo concreto e immaginifico di una madre e del suo figliolo, dalle schegge di un’America mitica e reale, ci ritroviamo immersi nel passato che continua a informare di sé il nostro presente.