Barbara Stiegler è una filosofa francese, titolare del master “Cura, etica e salute” all’università di Bordeaux; ha esordito con lavori sul rapporto tra biologia e filosofia in Nietzsche, e di recente si è impegnata nel movimento dei gilet gialli e contro la riforma pensionistica del 2019-20 in Francia. Bisogna adattarsi!, che l’autrice avrebbe voluto intitolare Il ritardo della specie umana, riassume il suo pensiero sul Neoliberalismo: la dottrina politica per la quale si spende, e che sostiene essere – in discendenza lineare da Walter Lippmann (1889-1974) e John Dewey (1859-1952) – diametralmente opposta al liberalismo classico. Per Stiegler, il pregio del Neoliberalismo, contrapposto al liberalismo classico, è la sua capacità di trasformare la competizione in cooperazione. Nella storia politica statunitense ha un certo rilievo la diatriba tra Lippmann e un altro teorico del Neoliberalismo (e critico del liberismo classico), John Dewey – da non confondersi con Melvin Dewey, inventore della classificazione bibliografica decimale DDC. Stiegler sottolinea che Dewey mosse una critica radicale al capitalismo unita a una rivendicazione del socialismo; naturale che la democrazia “minimal” di Lippmann non sia nel suo orizzonte.
Per giungere a conclusioni che siano d’attualità oggi, Stiegler analizza la forma di democrazia propugnata da Lippmann, che curiosamente in qualche modo richiama certi fantasmi che girano sui social ogni volta che si constata la povertà di ragionamento di affermazioni che vanno per la maggiore. Il filosofo americano infatti elaborò una proposta di democrazia basata sulla centralità di “esperti” in quanto più “adatti” al processo delle decisioni politiche: persone in grato di analizzare i problemi, informarsi e prendere decisioni competenti. Per Lippmann, che disdegna qualsiasi parentela politica con il darwinismo sociale, questa democrazia “mediata” è l’unica idonea ad affrontare la complessità della modernità, sfuggendo all’irrazionalità delle masse, o meglio dell’opinione pubblica. Questo aggirerebbe la distorsione e la parzialità delle informazioni filtrate attraverso i media, che contribuiscono a creare un’opinione distorta.
A noi, che viviamo un secolo dopo, abituati alla formula “una testa, un voto”, sembra una posizione elitaria, oligarchica (la classe dirigente è sottratta al controllo dei cittadini), eppure Lippmann era favorevole alla fine del liberalismo classico di inizio Novecento, che trionfava negli USA a braccetto con il capitalismo: “nel neoliberalismo lo Stato è tutto tranne che assente: è uno Stato profondamente e costantemente invasivo, e molto presente (si pensi, suggerisce l’autrice, agli ambiti dell’educazione e della salute)”. Va detto che il Neoliberalismo sostenuto da Lippmann è una forma di democrazia pensata per ovviare alla difficoltà di adattamento al progresso, che per il filosofo rappresenta un vero e proprio ritardo evolutivo. Questo concetto di ritardo è spiegato così da Stiegler: “lo sfasamento di ritmo tra le inclinazioni naturali della specie umana, eredi di una lunga storia evolutiva che si modifica secondo il ritmo molto lento della storia biologica, e le esigenze del nostro nuovo ambiente brutalmente imposte dalla rivoluzione industriale”. Dunque chi si è evoluto in un ambiente relativamente stabile, la città-stato o la comunità rurale, si trova oggi ad affrontare uno scenario in cambiamento costante.
È questo per Lippmann “il problema centrale del liberalismo”: “Nonostante abbia liberato, con la rivoluzione scientifica, incredibili possibilità di innovazione sociale, che derivano dall’estensione dell’esperimento e dalla sua ‘logica’ democratica in tutti i campi d’azione, la specie umana è in qualche misura in ritardo sulla propria evoluzione a causa di un’eterocronia tra le sue potenzialità future e le stasi durature e immobili ereditate dalla usa evoluzione passata”. Per l’Enciclopedia della scienza e della tecnica, il significato di ‘eterocronia’ è la “differenza tra due organismi più o meno strettamente vicini dal punto di vista evolutivo, che può essere ricondotta a differenze nell’andamento temporale dei processi che danno origine, nel corso dello sviluppo, ad apparati, organi o tipi cellulari diversi.”
In che modo Lippmann si propone il superamento di questo ritardo evolutivo? Tramite “una manifattura del consenso, che prevede la fabbricazione di buoni stereotipi, attraverso una propaganda ben orientata, intesa a riadattare la specie umana al suo nuovo ambiente globalizzato”. Con la sua proposta di neoliberalismo, per la verità più vicina alla democrazia partecipativa e al coinvolgimento dei cittadini di Dewey che a Lippmann, Stiegler contribuisce al dibattito sul superamento della nuova ondata di capitalismo liberista che ha informato di sé la civiltà fino a oggi, a partire da Thatcher e Reagan. Naturalmente, più che di cambiamento del modello economico, si discute di una sua riformabilità, di una messa a punto delle distorsioni tramite l’intervento puntuale dello Stato – ammesso, beninteso, che sia riformabile, e che si sia ancora in tempo prima che il capitalismo finisca la sua meticolosa opera di distruzione del mondo.