Nella riflessione critica, letteraria e sociologica, è invalsa ormai da tempo la nozione di “postmemoria”. Marianne Hirsch, docente di Letteratura comparata alla Columbia University, ne ha coniato una definizione: “Il termine ‘post-memoria’ serve a sottolineare la differenza temporale e qualitativa rispetto alla memoria dei sopravvissuti, a evidenziarne il carattere secondario o di seconda generazione, a ricordare che è nata dallo sradicamento, che è una memoria sostitutiva e successiva”. Altro aspetto interessante, “spesso nasce dal silenzio, più che dalle parole, da ciò che rimane nascosto, più che dal visibile”. La parola origina dunque dall’ambito della riflessione sulla Shoah, per allargarsi più in generale alla memoria di eventi traumatici. Su tale concetto la studiosa Barbara D’Alessandro ha scritto un saggio invero notevole. Il campo d’indagine è quello degli Holocaust Studies, e il volume si propone di stimolare una riflessione sui meccanismi di trasmissione storica e intergenerazionale della memoria, sulle forme della sua rappresentazione e rielaborazione. Gli ambiti in cui tale trasmissione prende forma sono ovviamente vari: film e fiction televisive, documentari, romanzi, drammi teatrali, poesia, arti performative, visive e quant’altro. L’autrice si sofferma su quello letterario, proponendosi di rispondere ad alcune domande: Esiste una letteratura della postmemoria in Italia? Se sì, quali autori sono da includere in questo insieme ideale? Quali le forme letterarie adottate, e con quali implicazioni, quali i nodi concettuali affrontati nei loro testi? Domande complesse, che necessitano di risposte non sempre univoche.
Come indicato nel titolo, lo studio precisa un discrimine cronologico: i testi pubblicati dal 1978 al 2021. Nel 1978 apparve Transit della scrittrice italo-ungherese Edith Bruck, straordinaria testimone della Shoah impegnata da sempre nella trasmissione di quella memoria ma anche di una cultura mitteleuropea scomparsa da tempo. Transit è una narrativa sospesa tra fiction e non fiction, che ripercorre le vicende di una donna, ex deportata, la quale si trova a fare da consulente per un film su Auschwitz. E già qui sono presenti i temi affrontati nel volume: il rapporto tra la memoria e la sua rappresentazione, quindi tra l’io autobiografico e l’io narrante; il profondo legame tra esperienza vissuta, esigenza di divulgazione e forme artistiche diverse; lo scontro tra lo statuto di testimone – e quindi la verità storica – e la sua messa in scena, per forza di cose imperfetta e parziale; l’esigenza di rielaborare vicende traumatiche anche ricorrendo a personaggi ed eventi immaginari. Tutti motivi che rimandano ad una profonda riflessione sull’arte della narrativa (e cinematografica), sui meccanismi psicologici e sociologici che ne governano la forma.
Il volume si compone, oltre all’introduzione, di cinque capitoli che affrontano in profondità i vari ambiti culturali e letterari: La memoria culturale; Storia, memoria e letteratura; Forme della memoria; La famiglia; Le nuove generazioni, forme e problemi di rappresentazione, ed è corredato di una notevole bibliografia, per chiarezza metodologica suddivisa per temi: Memoria e trauma; Shoah e letteratura ebraica; Teoria e Letteratura; Testi letterari. Il lettore troverà pane per i suoi denti, ma la prosa scorrevole permette all’autrice di districarsi agevolmente tra questioni complesse e affascinanti quali il rapporto tra storia, memoria e letteratura: il viaggio proposto dalla D’Alessandro vale davvero la pena di essere intrapreso, magari anche per scoprire qualcosa di noi stessi che giace sepolto chissà dove.