Avery Gordon / Un discorso sull’infestazione fantasmatica

Il discorso sulla haunting è un discorso profondamente materialista, un discorso sulla infestazione fantasmatica che il trauma dell’oppressione ha prodotto attraverso il tempo e che la sociologia è chiamata a riportare a galla con nuovi mezzi di indagine.

Avery Gordon, Cose di fantasmi. Haunting e immaginazione sociologica, tr. di Stefania Consigliere e Federico Rahola, DeriveApprodi, pp. 304, euro 20,00 stampa

Con questo saggio Avery Gordon nel 1997 intende percorrere una strada nuova per analizzare la costruzione sociale della realtà. La sociologa guarda in particolare alla produzione letteraria per superare i limiti che riscontra negli studi fondati esclusivamente sulle evidenze e la ricerca sul campo. In pratica, come sottolinea nell’introduzione, per andare oltre l’eredità del positivismo. Quello che deve ancora essere esaminato secondo Gordon è infatti la presenza spettrale di ciò che nel lascito della storia è scomparso apparentemente senza lasciare traccia. Il discorso sulla haunting è un discorso profondamente materialista, un discorso sulla infestazione fantasmatica che il trauma dell’oppressione ha prodotto attraverso il tempo e che la sociologia è chiamata a riportare a galla con nuovi mezzi di indagine.

Questa linea di pensiero si articola nei tre capitoli centrali del libro. Il primo, incentrato sulla figura di Sabina Spielrein e sul triangolo intellettuale con Sigmund Freud e Carl Jung, permette di chiarire anche il debito che l’approccio della haunting contrae dall’inizio con quello psicanalitico; il secondo, attraverso il rapporto tra la Società Psicoanalitica Argentina e la Junta di Videla negli anni della dittatura, permette invece di storicizzarlo e circoscriverlo meglio. Un debito culturale che per l’autrice è riconducibile in primo luogo al celebre saggio sul perturbante (Das Unheimliche) di Freud, in cui lo scienziato viennese attribuisce a un episodio infantile la riapparizione in forma inquietante del rimosso nella dimensione quotidiana e familiare dell’adulto. Una linea interpretativa che per la sociologa Gordon equivale però a una rinuncia epistemologica e, in ultima analisi, alla “privatizzazione” del trauma.

Nel primo dei tre casi esaminati, Sabina Spielrein, una giovane russa giunta a Zurigo nel 1904 a cui viene diagnosticata una forma di schizofrenia, ha una relazione con Jung e influenzerà la storia della psicoanalisi. Il suo contributo, in particolare nell’elaborazione del concetto di pulsione di morte, è riconosciuto dallo stesso Freud in una nota, e gli storici non potranno che ampliarlo in epoca più recente. Nella foto ufficiale del terzo Congresso Psicoanalitico Internazionale a Weimar, nel 1911, Spielrein però non compare, la sua assenza è una presenza spettrale che Gordon approfondisce attraverso i diari della giovane donna. Una presenza che coinvolge uno dei fondamenti della psicoanalisi freudiana e non solo il suo riconoscimento sulla scena pubblica.

Nel capitolo successivo, Gordon affronta invece la condizione dei “desaparecidos” nella società argentina durante il periodo della dittatura militare. Essa comprende sia la minaccia che il regime rivolge continuativamente ai vivi, affinché non oppongano resistenza, sia la sorte riservata a chi invece è sospettato di averlo fatto. Come scandaglio l’autrice usa il libro di Luisa Valenzuela, Como en la Guerra: anche la cognizione del terrore fascista per Gordon può essere ricondotta a una pratica spettrale, all’infestazione della memoria collettiva che si sottrae al controllo sociale e che le Madri di Plaza de Mayo portano alla luce di fronte all’indifferenza del ceto medio professionale e dell’Associazione Psicoanalitica Argentina.

Il terzo e ultimo momento del saggio riguarda l’invisibilità degli schiavi afro discendenti tra i soggetti costituenti della storia americana, tema rielaborato attraverso la parabola di Amatissima (Beloved), romanzo premio Pulitzer della scrittrice Nobel americana Toni Morrison. In questo caso è letteralmente un fantasma, quello di Beloved, che la madre Sethe preferisce uccidere piuttosto che vedere schiava, il fulcro della narrazione. La haunting è qui direttamente il dispositivo letterario che Morrison utilizza per evocare ciò che non è riducibile alla prova di umanità offerta ai bianchi attraverso l’alfabetismo degli schiavi e che non può essere in nessun modo tramandato attraverso i biopic neri per il pubblico degli/delle antiabolizionisti/e. È invece lo spettro, che nel romanzo  la comunità nera prova a esorcizzare durante il periodo della Ricostruzione: non solo un accumulo di materia letteraria nell’economia del romanzo ma, per Gordon, uno strumento insostituibile  della ricerca etnografica e sociologica. «L’elemento più palesemente interessante del loro modo di vedere è che Luisa Valenzuela, Toni Morrison e anche Sabina Spielrein possono vedere ciò che di solito è invisibile o trascurato o ritenuto dai più morto e sepolto. Riscoprono “l’evidenza delle cose non viste”, quell’archivio di memoria balbettante e di testimonianza di anime perdute».