Nei libri ben scritti, quello che serve al lettore è (quasi) sempre presentato nelle prime pagine. È questo il caso di Aurelio Picca con il suo Il più grande criminale di Roma è stato amico mio.
Dopo le citazioni di Jean Genet e Filippo De Pisis, eloquenti paratesti che sostengono la straziante dedica iniziale, l’autore ci porta quasi bruscamente sui Castelli romani, tra Nemi, Albano, Marino, Velletri dove Picca è nato e dove è ambientata la storia. Qui vive anche un uomo di mezza età, “non più giovane ma forte” che non sa più cosa farsene della sua forza fisica e sessuale. Con lui la pistola con cui si ammazzano tori, mucche e cavalli al mattatoio di Marino. Quest’uomo fa di nome Alfredo e di cognome Braschi, e porta sempre con sé quella pistola come se l’oggetto fosse più un elemento identitario che un’arma di difesa o di aggressione. E infine ci vengono presentati altri oggetti e un’altra persona. Gli oggetti sono una Beretta 6,35, appartenuta al padre del protagonista e un revolver calibro 9 a spillo, di proprietà di Laudovino de Sanctis detto Lallo Lo Zoppo, soggetto criminale realmente esistito che terrorizzava Roma fin dagli anni Settanta. Venne arrestato per l’ultima volta quando aveva 68 anni e morì di tumore in carcere un anno dopo.
A corollario, due automobili di grossa cilindrata, una bambina bionda e un certo numero di balordi.
Preso in considerazione tutto questo materiale, non ci soffermeremo tanto sulla trama ma sul modo che Aurelio Picca ha di raccontarla per spremere dalle vicende il nettare del senso delle cose, degli affetti, dei miti e della vita. Con un linguaggio ruvido, che diventa perfino trucido, come solo molti artisti della scuola romana sanno fare – si pensi a Daniele Mencarelli, a Zerocalcare, a Sandro Bonvissuto – Picca accosta arditamente, ma con successo, il personaggio letterario (pura finzione) di Alfredo Braschi con il personaggio di Lallo Lo Zoppo, che ha occupato per tanto tempo le pagine di cronaca nera e si è macchiato di un numero considerevole di delitti.
Tutto nasce da una sfida impossibile tenutasi all’uscita di un ristorante dei castelli tra Lallo, in Ferrari, e Alfredo con la sua Alfa Romeo. Lallo fa vincere la sfida impossibile ad Alfredo e Alfredo, da quel momento, seguirà Lallo in tutte le sue avventure criminose, compreso gli omicidi, i sequestri di persona e le evasioni. Mentre Alfredo racconta di Lallo, egli racconta anche di sé, della sua vita, del suo dolore e del suo desiderio di vendetta per un torto subito dalla figlia ancora bambina.
Spesso è la storia del suo desiderio d’amore a tenere banco. Passioni forti non sempre accompagnate dal sentimento. Alcune possibilità di paternità non realizzate – per la scelta delle sue compagne di non portare a termine la gravidanza – e una bambina che lui non sa crescere e non sa proteggere dal dolore. Una bambina che prende lo stesso nome della figlia di Lallo a testimoniare il fatto che quello che prevale su tutto è una discendenza patriarcale, maschile, di una storia che prende origini dal padre di Alfredo dal quale il figlio riceve la piccola pistola Beretta calibro 6,35 di cui si è parlato all’inizio.
Ma Aurelio Picca è un poeta. Il mondo letterario lo ha conosciuto prima in quelle vesti che indossa ancora, e la sua sensibilità di poeta lo porta a individuare e indagare il senso drammatico della vita e del dolore fino a raggiungere tratti mistici e religiosi che ci portano al tema della Passione.
D’altra parte Alfredo, con le sue debolezze e il suo bisogno di amore e di potenza, può rappresentare facilmente l’uomo medio. I luoghi dove egli vive, specialmente nel finale del libro, sono rappresentati come luoghi ancestrali dove tutto ha avuto inizio, dai tempi delle popolazioni di Alba Longa, prima che nascesse Roma. Poi vi sono i vulcani che da piccolo Alfredo fantasticava dovessero esplodere di nuovo da un momento all’altro e che ora sono come due diamanti neri, il lago di Albano e il lago di Nemi.
Ma quello che governa il racconto è la convinzione che nella vita governa il caso e governa il caos e che tutti meritano pietà, anche i feroci. E l’uomo che si presenta all’inizio del racconto è uno che è pronto a uccidere o a morire. Perché sa tutto questo…