Chi non ha vissuto la stagione dei veleni a Palermo stenta a credere che tutto ciò che viene raccontato in questo libro sia potuto accadere. Augusto De Luca, morto nel 2022, era un uomo dello Stato, un uomo con la schiena dritta, tutto d’un pezzo, come si suol dire, e ha combattuto in prima linea per difenderlo dagli attacchi di mafia e di coloro che per decenni l’hanno fiancheggiata – quella zona grigia dei colletti bianchi che ha sempre utilizzato la criminalità organizzata per mantenere l’ordine pubblico e contenere i moti di rivolta della popolazione siciliana, come la strage di Portella della Ginestra.
In questa vicenda – comprendente il periodo che va dall’agosto del 1988 all’agosto del 1991 – compaiono servitori dello Stato veri e presunti, tra cui alcuni che indagini successive hanno rivelato essere servitori dell’Antistato. Compaiono Alberto Dalla Chiesa, Domenico Sica, Augusto De Luca, il Prefetto Finocchiaro, Mario Mori, Antonio Subranni, Loris d’Ambrosio, il Direttore del Sismi Martini, il Direttore del Sisde Malpica, Arnaldo La Barbera, Ferdinando Masone, Vincenzo Parisi, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Corrado Carnevale, Agostino Cordova, Leoluca Orlando, il Generale Della Porta, Bruno Contrada, Claudio Martelli, Ciriaco De Mita, Antonio Gava, Vincenzo Scotti, Francesco Cossiga, Giulio Andreotti. Nel vortice di colpi di scena che caratterizzò quella stagione in Sicilia e in tutta Italia, si arrivò a un punto, nella caldissima estate palermitana del 1989, in cui era diventato quasi impossibile distinguere i buoni dai cattivi, in cui tutti sospettavano di tutti, in cui si attivò a pieno regime la cosiddetta macchina del fango, con schizzi che raggiunsero anche coloro che rischiavano la vita ogni giorno per combattere la mafia.
In quella torrida estate resa ancora più infuocata dalle polemiche, cominciarono a circolare le famigerate lettere del Corvo di Palermo, dando il via all’incredibile “bestiario” di accuse e di veleni. Il Corvo era sicuramente molto ben informato sulle dinamiche interne alla magistratura palermitana, le sue accuse venivano dal Palazzo di Giustizia – ribattezzato il “Palazzo dei Veleni”. Si arrivò a un punto in cui non si capiva se i pentiti fossero stati strumentalizzati dallo Stato per sconfiggere la mafia o se addirittura non fossero essi stessi a strumentalizzarlo allo scopo di consumare le loro vendette. Non si capiva se le forze dell’ordine e i servizi segreti stessero effettivamente combattendo la mafia, o se invece non ci fosse in atto un vero e proprio piano eversivo volto a spostare ancora una volta il baricentro politico della Sicilia e dell’Italia intera. La stessa opposizione alle attività dell’alto Commissario, a opera della Commissione Parlamentare Antimafia, presieduta dal parlamentare del PCI Gerardo Chiaromonte, e del responsabile Giustizia del PCI, Luciano Violante, viene aspramente giudicata da De Luca: i comunisti non risparmiano critiche nei confronti di un organismo dotato di poteri straordinari come l’alto Commissariato, e non spendono neanche una parola per criticare chi come compito ordinario ha quello di combattere la mafia, cioè Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza, per non parlare dei Servizi Segreti? “Che strano paese il nostro! Che Italia! Che speranze ci sono che le cose possano cambiare?” – conclude incredulo e amareggiato De Luca. Sembra di rileggere alcune amare considerazioni di Francesco Guicciardini sull’immutabilità dell’animo umano.
Questo libro aiuta a ricostruire il quadro politico nel quale si mossero i personaggi già citati, e l’affannosa ricerca da parte della mafia di nuovi referenti politici dopo il “tradimento” da parte dei boss della DC che si erano impegnati ad annullare o quantomeno attenuare la sentenza del maxi-processo contro la cupola mafiosa. Si scopre così che la mafia aveva indirizzato i propri consensi dapprima verso il Partito Socialista di Craxi e i Radicali (per la loro lotta contro il carcere duro e contro l’ergastolo), poi verso tutta una serie di movimenti separatisti con il consenso della Lega Nord, infine verso un nuovo soggetto politico che si presentò alle urne nel 1994 e stravinse le elezioni. Lo stesso Giovanni Falcone venne fatto oggetto di aspre critiche, e anche i suoi rapporti con l’alto Commissario Sica non furono sempre idilliaci. I detrattori di Falcone, tra cui il “corvo” – un personaggio di cui non si è mai riusciti a stabilire con certezza l’identità (all’epoca il sospettato numero uno fu il sostituto Procuratore Alberto Di Pisa) – accusarono Falcone e lo stesso Sica di una gestione spregiudicata dei grandi pentiti di Cosa Nostra, Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno, che furono invitati – in particolare Contorno – a rientrare in Sicilia e utilizzati come esca per catturare alcuni pericolosi latitanti. I detrattori di Falcone si spinsero al punto di ipotizzare che l’attentato alla scogliera dell’Addaura Falcone fosse opera sua, che si trattasse di una messinscena per accreditarsi come martire nella lotta alla mafia. I detrattori di Sica invece lo accusavano di aver dato vita a un terzo Servizio Segreto, svincolato da qualsiasi controllo da parte della Magistratura o del Parlamento, che poteva richiedere in qualunque momento gli atti sulle inchieste in corso e poteva permettersi di intercettare chiunque senza alcuna autorizzazione, e criticavano i super-poteri di Nembo Sic – questo il soprannome che Sica si era guadagnato dopo tanti anni di lavoro come magistrato sulle inchieste più scottanti – salvo poi attaccarlo quando secondo loro non otteneva i successi sperati. Ecco dunque affiorare i veleni di quella stagione terribile, in cui chi combatteva contro la mafia doveva giustificarsi ogni giorno dall’accusa di favorirla.
Sullo sfondo i contraccolpi politico-giudiziari del Caso Cirillo. che scatenarono polemiche violentissime e reciproche accuse tra la politica e la magistratura, mostrando come la politica si fosse piegata al ricatto delle BR-Partito della Guerriglia di Giovanni Senzani, appena tre anni dopo aver mostrato un atteggiamento inflessibile nei confronti delle Brigate Rosse di Mario Moretti. De Luca cita più volte nei suoi resoconti il continuo viavai di politici, agenti dei Servizi e camorristi presso il Supercarcere di Ascoli Piceno, tutti insieme appassionatamente a intercedere per la soluzione del sequestro Cirillo al cospetto del grande boss della Camorra Raffaele Cutolo, il quale all’epoca ebbe a dichiarare: “Se parlo io crolla lo Stato”.
Le “cronache dell’Antimafia” di De Luca, primo volume – si spera – di una lunga serie, ci consentono di ricostruire le tormentate vicende che portarono all’istituzione dell’alto Commissario Antimafia e successivamente della struttura che era preposta a coadiuvarlo, in un periodo in cui lo Stato sembrava soccombere sotto i continui colpi della mafia, e uomini che ogni giorno si ritrovavano ammazzati in ogni angolo delle strade di Palermo. Di qui nasce il particolarissimo Zoo di Palermo descritto da De Luca: talpe che si infiltrano, cimici che infestano il Palazzo di Giustizia di Palermo, che spiano conversazioni di “corvi” e altri animali non meglio identificati, in un vero e proprio assalto allo Stato da un’organizzazione furibonda per la clamorosa sentenza del maxiprocesso stabilente l’esistenza di una struttura verticistica (la famosa Cupola) di Cosa Nostra, e di una centrale unica per gli appalti a livello nazionale. Di fronte alla mazzata delle sentenze del maxiprocesso, la mafia si sente tradita dai consueti referenti politici, un tradimento che la spinge ad alzare il tiro attraverso i cosiddetti “delitti eccellenti”, ad adottare una strategia stragista che prefigura la contrapposizione totale nei confronti dello Stato. Amarissima la conclusione di De Luca, servitore di uno Stato sotto scacco che tenta disperatamente di respingere gli attacchi che arrivano da ogni parte: «Passa il tempo, ma Palermo continua ad essere la città dei veleni. […] La storia del Palazzo dei Veleni sembra non avere mai fine, come le estati palermitane. Nella confusione che ne deriva, il vero e il falso finiscono col confondersi. Nel clima infernale di questa torrida estate, la macchina infernale dei sospetti continua a vomitare veleni nel Palazzo di Giustizia».