Le tragedie replicate, morti attentati ville del potere assassinii depistaggi e mafie, cosa hanno di “incantevole”? Perfino l’Italia appesa a testa in giù della copertina scatena remoti malesseri, come se assistessimo alla quintessenza di una esecuzione più o meno sommaria. È la condizione umana del Paese, con qualcosa di più dell’ironia, che si manifesta in questo libro attraverso il titolo, quando improvvisamente ci troviamo di fronte a una “presa diretta”, uno smisurato collegamento televisivo di cui si stenta a vedere l’inizio, ma che ci piazza al centro delle riprese di Mamma RAI e Mediaset, senza scampo.
Azzuffandoci con la “vita bassa” (e noi che ancora crediamo, dopo adolescenze post-belliche, di aver avuto nel portafoglio quella alta degli anni Sessanta) che Arbasino sbatteva sui cartelloni affissi in pieno centro e nella mercantizia Provincia “tragica, comica, satiresca”. I luoghi sono la storia, la cronaca, il tempo che affastella tutto quanto. I capitoli di Nostra incantevole Italia, resoconto di un viaggio lunghissimo, tracciano gran parte della geografia “storica” italiana, infarcita di credenze distopiche mica da ridere, e di doppiezze incarnite, pre e post-moderne.
Inizia con la strage di Portella della Ginestra, dove i fucili e i mitra di Salvatore Giuliano (concupito da femmine e golpisti) uccidono e feriscono decine di famiglie alla manifestazione del Primo maggio 1947. Finisce con il Quirinale, 1200 stanze, 110.000 metri quadrati di solitudine per il presidente di tutti gli italiani. Nel mezzo un putiferio – stracarico di particolari, coinvolgimenti, elaborazioni, sconti, metafore, discontinuità, labirinti – di cosmi e microcosmi che farebbero impallidire Montanelli e Camilla Cederna. Eventi e infiniti spazi dell’Italia esclusiva che si chiamano Vajont, Sanremo (nel senso di Festival), piazza Fontana, Ostia (Pasolini assassinato, per intenderci), viale Mazzini, Villa Wanda (Gelli, proprio lui), Vermicino, via Fani, il Lingotto, Pio Albergo Trivulzio (Mani Pulite), Capaci, Arcore, Pontida, Cogne, L’Aquila, casa Prodi, Lampedusa, Sant’Ilario (Grillo stellato), palme plastificate sul Lungotevere (Dagospia), Cinecittà.
Florilegio, come si vede, che ha ben poco di davvero incantevole, dove anche gli unici due luoghi che furono forieri di fantasia e divertimento inducono oggi alla mestizia di un’inarrestabile decadenza. E malumore. Sufficiente osservare il disastro edilizio della Città dei fiori e l’abbandono del Teatro Cinque, perenne abitazione di Federico Fellini, enorme scatola in attesa dei soliti escursionisti gonzi e di ulteriori scempi palazzinari.
Altrove, nei documentatissimi e risuonanti capitoli, cosa abbiamo? Morti per le più disparate avversità, cervelli squilibrati, e maschere di plastica con cui nemmeno le fogge carnevalesche di Viareggio hanno agio di poter competere. Insomma, ritrovarsi con aiuto satellitare e tecnologia relativistica in tutti quei luoghi riempie di dettagli dolorosi l’edulcorata carne che indossiamo, trasfondendo in un solo colpo settanta anni di romanzo italico, una per nulla “romanzata” way of life di uno stato che oggi vediamo contromarcia, ribaltato, appeso.
Se qualcuno crede di poter mettere ordine in questa serie di eventi, ricordi che già altre “terrazze” d’intellighenzia si sono sputtanate anni addietro, e che a lungo molti si sono interessati più ai jeans stracciati di veline sciamannate e a osannati condoni tributari che a mandare a casa la multimediale imperfezione politica. Corrias ha parlato e vissuto nelle vicinanze di passati e presenti di Corti e Reggenze, infine consegna l’esemplare Reader’s Digest alla maggioranza di conformisti progressisti reazionari e allucinati che spopola il Belpaese.