Assenze della luce

Paola Di Mauro, Morte apparente, buio e sonno profondo: tre fiabe dei fratelli Grimm, Mimesis, pp. 160, euro 14,00 stampa

recensisce ALESSANDRO FAMBRINI

Le fiabe dei fratelli Grimm sono notissime, e tra le più note vi sono le tre che Paola Di Mauro prende in esame in questo suo lavoro situato in equidistanza tra la critica letteraria, il saggio antropologico e psicoanalitico e lo studio linguistico: Biancaneve, Cappuccetto rosso e Rosaspina. Che cosa hanno in comune? Molto, ovviamente, a partire dalla nota cromatica nel titolo che allude alla fioritura adolescenziale e alla sessualità delle giovani, sagaci protagoniste femminili.

Di Mauro, tuttavia – e in ciò consiste il principale elemento attrattivo di questo libro – individua la cifra profonda di significato di queste tre storie nella categoria poco cospicua eppure densa di conseguenze e ricadute dell’assenza: «morte apparente dopo il morso alla mela di Biancaneve, buio nella pancia del lupo di Cappuccetto Rosso e sonno centenario della bella addormentata». È sotto questo paradigma che Di Mauro procede a investigare i testi, svelandoli come esempi di rimozioni simboliche, nelle quali si annidano fantasmi profondi che apparentano queste fiabe (così come molte altre dei fratelli Grimm e più in generale del patrimonio fantastico tradizionale) a quel filone di «romanticismo nero» cui anche Gramsci le assegna nella sua pionieristica opera di traduzione e interpretazione durante il periodo di reclusione a Turi tra il 1929 e il 1931.

Essendo l’assenza una significativa metonimia per la morte, dietro le storie si definisce la natura dell’essere e la particolare dimensione del rapporto umano con ciò che sta oltre la «soglia»: rompendo il tabù – così Di Mauro – la fiaba categorizza l’indicibile e ne fa oggetto di un racconto che lo addomestica, riportandolo a paradigma umano. In queste tre fiabe, in particolare, le assenze sono soprattutto «assenze della luce», la cui sorgente originaria è la dimensione spontanea e incontrollabile della nictofobia infantile, che si dilata a spazio psicologico abissale e coinvolgente: quello in cui si aprono gli spazi d’irruzione per i mostri – e anche per i prodigi – dell’ignoto, dai quali acquistano contorni che si prolungano e persistono fino all’età adulta.

Ciò che rende la letteratura per l’infanzia, come scrive Calvino, giustamente richiamato dall’autrice, «un racconto di meraviglie» che ha pochi pari come potenzialità evocative di terrori e di portenti.

http://mimesisedizioni.it/

26 IX 2018