Bois Sauvage, Mississippi, 2005. Dodici giorni prima dell’arrivo dell’uragano Katrina, il più grande disastro naturale della recente storia statunitense. Esch, attraverso i cui occhi si dipana la storia, è una ragazzina afroamericana parte di una famiglia tanto disastrata quanto unita. Sua madre è morta dando alla luce l’ultimo figlio, Junior. Suo padre è un alcolista burbero e distante, che dedica tutto il suo tempo a prepararsi per un uragano che, tutti dicono, non sarà poi una gran cosa. L’amatissimo fratello Skeetah ha attenzioni solo per il suo pitbull da combattimento, una cagna maestosa e feroce di nome China, nei cui preziosi cuccioli appena nati vede la possibilità di un guadagno che è un riscatto. Randall, il più grande, una palla da basket perennemente in mano, spera di poter abbandonare il degrado soffocante della Fossa (così la famiglia chiama l’avvallamento ingombro di rottami e baracche in cui vive) con una borsa di studio per meriti sportivi. Esch, infine, ha appena scoperto di essere incinta.
Il padre è il migliore amico di Randall, che la narratrice, ossessionata da un libro di mitologia greca, descrive dorato come Apollo e altrettanto distante. Per sé, invece, aspira al ruolo di moderna Medea. E proprio quest’ultima fornisce il famoso furor che è il paradigma delle tre grandi figure femminili di Salvare le ossa: Esch, divorata dai tormenti d’amore, spesso tenera ma sempre cruenta; China, affettuosa e sanguinaria, bianca e misteriosa come una Moby Dick dello slum; e naturalmente Katrina, madre spietata che si abbatte con violenza smisurata sui suoi figli inermi. L’amore e la brutalità (che Ward impedisce spesso di distinguere) sono le cifre di questo romanzo carnale e poetico, che in originale suona spesso come un vecchio Blues o un flow contemporaneo – disperato, duro e autenticamente afroamericano, ben rielaborato nell’ottima traduzione di Monica Pareschi.
Un romanzo che l’autrice voleva politico, e che, contribuendo con forza invidiabile alla mitopoiesi dell’uragano, ha il merito (voluto, studiato) di ricollegare un’America che troppo spesso soffre di amnesie colpevoli al disastro Katrina, abbattutosi inevitabilmente e con più drammaticità sugli indifesi (poveri, neri), proprio come l’ira mitica di Medea. Madri e infanticide vere e in potenza che tengono i propri uomini legati a sé con la passione, la violenza o l’amore disinteressato di figlie o sorelle, sono loro le protagoniste di Salvare le ossa, un libro che, nell’ossessiva e a volte soffocante dimensione familiare mostra più di un inevitabile debito nei confronti del Faulkner di Mentre morivo (esplicitamente citato), ma che al contempo, come ha scritto Ron Charles su The Washington Post, si presenta già con l’aura di un classico. Una storia senza tempo di sangue, vendetta e rovina, ma anche di salvezza, speranza e umana tenerezza.