La prima volta che ho incontrato Arturo Schwarz, nel salotto della sua casa-museo in Porta Vigentina a Milano, brandiva per aria l’inseparabile bastone da passeggio in risposta a un malcapitato giornalista che aveva avuto l’ardire di chiedergli la sua opinione su Damien Hirst. Io mi ero laureata da poco ed ero lì per un colloquio: il suo assistente sarebbe partito per il Canada e lui cercava qualcuno che potesse sostituirlo temporaneamente, aiutandolo soprattutto nella gestione dell’archivio dei libri, una collezione di circa quarantamila volumi e in continua crescita. La mia postazione di lavoro sarebbe stata giù, nel seminterrato disseminato di librerie, stretti corridoi dove i volumi erano suddivisi per argomento ed erano la rappresentazione fisica della molteplicità e dell’eterogeneità degli interessi intellettuali di Schwarz: dall’arte (oltre ai surrealisti, arte antica, medievale, contemporanea) all’ebraismo, dalla politica – è stato per tutta la vita un fervente anarchico – alla poesia, dalla storia all’alchimia. Scendere le scale del seminterrato equivaleva alla discesa in un mondo imponente e magico, una sorgente sotterranea di inesauribile meraviglia e di tesori nascosti. Una delle regole ferree per accedervi, e che valeva in tutta la casa, era appesa a caratteri cubitali all’ingresso: vietato fumare. Schwarz odiava le sigarette e lo ripeteva a chiunque varcasse la soglia della sua dimora. Eppure sapevamo che c’era un’eccezione: durante le loro partite a scacchi, a Marcel Duchamp era concesso fumare il sigaro.
Per Schwarz lo studio equivaleva alla passione, al mettersi in gioco in prima persona: continuando a frequentare la sua casa negli anni, ho presto capito che quello che era sembrato uno scoppio d’ira contro il giornalista era invece il suo modo di manifestare partecipazione, una partecipazione intensa e vissuta, proprio come è stata tutta la sua lunga vita.
Nato ad Alessandria d’Egitto, paese da cui fuggì dopo essere stato perseguitato e incarcerato per ragioni politiche (era stato tra i fondatori della sezione egiziana della Quarta Internazionale), giunse a Milano negli anni Cinquanta, dove fondò una casa editrice che pubblicò, tra gli altri, Ungaretti e Quasimodo, e una galleria d’arte dove espose – una novità per l’Italia – le opere dei suoi amati artisti surrealisti. Grande collezionista, mercante d’arte e curatore di mostre fondamentali per la diffusione della cultura d’oltralpe in terra nostrana, Schwarz intrattenne rapporti d’amicizia con i surrealisti di tutto il mondo, come si evince anche da uno dei suoi ultimi saggi Il Surrealismo. Ieri e oggi, pubblicato nel 2014 da Skira. Il volume racchiude un lavoro di anni di ricerca – e di divertimento: era sempre un’emozione quando arrivavano in studio missive da artisti surrealisti (magari dal Messico o dall’America Latina), c’era sempre un disegno, una vignetta, una battuta di accompagnamento che rendeva immediatamente chiara da un lato la gratitudine di questi importanti artisti nei confronti di Schwarz, e dall’altro il loro condiviso impegno nel non sprecare un attimo della loro vita, nel renderla affascinante, intelligente e degna di essere raccontata.
Schwarz è mancato a 97 anni, dopo una vita avventurosa e ricca, ed è bello immaginarlo tra le braccia dell’adorata moglie Linda, conosciuta in tarda età ma amata dolcemente e appassionatamente, come testimoniano le numerose poesie a lei dedicate.
Il vuoto culturale che lascia Schwarz è enorme, ma altrettanto importante è la sua eredità, in primis quella umana: un grande uomo che ha insegnato, innanzitutto con l’esempio, a lottare, a credere nelle proprie battaglie, ad amare e ad attraversare la vita ballando. Oltre che, naturalmente, a smettere di fumare.