Roberto Abbiati / Un libro da arpionare

Moby Dick o la balena. Romanzo a disegni di Roberto Abbiati, Keller Editore, pp. 288, euro 23,00 stampa.

A giugno del 1851, parlando della Balena che ormai ha quasi completato, Herman Melville scrive con impeto all’amico e collega Nathaniel Hawthorne: “Quando l’ho lasciata, circa tre settimane fa, era ‘alle ultime convulsioni’, come dicono i pescatori. Adesso però la prenderò per la mascella e in un modo o nell’altro le darò il colpo di grazia”. La lotta all’ultimo sangue di Melville con il suo capodoglio letterario riecheggia la caccia di Ahab a Moby Dick nel romanzo, ma più in generale costituisce un topos letterario e iconografico senza tempo, quello del corpo a corpo con il divino – la lotta di Giacobbe con l’Angelo, il “folle volo” dell’Ulisse dantesco –, uno scontro impari che ricorda all’essere umano la propria ineluttabile mortalità. Allo stesso modo, al cospetto del genio di Melville noi lettori proviamo un’impotente meraviglia, un misto di desiderio e soggezione, entusiasmo e sgomento.

Da anni Roberto Abbiati, attore e autore teatrale nato nel 1958 a Seregno, in Brianza, porta avanti una lotta personale con il capolavoro melvilliano – da quando, come spiega Matteo Codignola nell’introduzione al volume, ha cominciato a intagliare nel legno scene e personaggi del libro. Abbiati sa bene che Moby-Dick contiene moltitudini: ogni volta che lo si prende in mano “si comincia a immaginare in grande, balene, velieri, oceani, via, le cose più esagerate”.

Finora però Abbiati aveva preferito tuffarsi in un bicchier d’acqua – o meglio, in “Una tazza di mare in tempesta”, titolo di un suo suggestivo spettacolo teatrale (Codignola lo ha definito un “piccolo miracolo di illusionismo teatrale”) a cui lo stesso Codignola ha dedicato un prezioso libretto edito da Adelphi nel 2008 e intitolato: Un tentativo di balena (Adelphi, pp. 151, illustrato a colori, € 13,00): lo spettacolo di Abbiati dura “quindici minuti in cui quindici spettatori, chiusi in una scatola di legno buia che sembra il ventre di una baleniera, guardano gli oggetti di volta in volta illuminati sulle pareti, ascoltando la voce di Roberto raccontare, in un numero straordinariamente esiguo di parole, l’intera storia della Balena Bianca”.

Ora però l’autore ha scelto di confrontarsi a viso aperto con la vastità del Moby-Dick melvilliano, realizzando un “romanzo a disegni” che ne illustra ognuno dei 135 capitoli, senza dimenticare l’epilogo e le due sezioni preliminari, ancora troppo spesso trascurate nelle moderne edizioni del libro. Ed è attraverso tavole di una straordinaria potenza evocativa – mescolando e giustapponendo con sapienza il bianco e il nero, utilizzando sia il bozzetto sia la visione panoramica, giocando con i font tipografici e l’organizzazione della doppia pagina – che Moby Dick torna di nuovo a solcare le acque torbide della nostra mente.

Lo scontro con una forza superiore è un tema costante del libro: dalla mite figura del “vice-vice bibliotecario” sommerso da una pila di tomi (“Extracts”) al titanico Ahab urlante, sovrapposto alla (o forse già inscritto nella) testa del capodoglio, con la gamba di osso di balena in corrispondenza esatta delle fauci (“Ahab”); dal cetaceo che colpisce la nave inclinata facendola uscire dall’inquadratura della pagina (“The Battering Ram”) alla meravigliosa illustrazione del cadavere di Ahab legato al dorso del gigantesco animale, disegnato a doppia pagina con una tecnica che ricorda il puntinismo e che fa assomigliare la balena a un cosmo, gli ammassi di stelle convergenti nella “galassia” dell’immenso occhio intravisto in basso a destra (“The Chase Third Day”, ma il titolo è omesso: già nell’illustrazione del capitolo precedente, “The Chase Second Day”, si vedeva che la scritta affondava nel bordo inferiore della pagina, a presagire la sventura imminente).

Il libro è pieno di affascinanti composizioni figurative – espressionistiche, simboliche, allucinate, grottesche. Le tavole dedicate a Ishmael sono spesso le più visionarie, come la danza aggraziata tra un gruppo di balene in circolo e le vetrate di una cattedrale in “The Chapel”, o il languido abbandono alla deriva di “A Squeeze of the Hand”; scene surreali, spesso violente, ma sempre perfettamente funzionali se si è in possesso della chiave di lettura fornita dal romanzo (il tuffo di Ishmael e Queequeg nelle ciotole di zuppa in “Chowder”, la balena appesa alla stampella in “The Funeral”, la nave che fluttua su un mare di barili in “Stowing Down and Clearing Up”).

E poi ci sono alcuni tocchi di genio assoluti, come – e mi limito a citare i miei preferiti –: Ishmael e Queequeg addormentati sotto una coperta che in realtà è una carta nautica (“The Counterpane”); l’oscurità che si propaga dalla tazza di rum e che invade entrambe le pagine nel capitolo più breve e allucinatorio del libro: “Midnight Aloft. Thunder and Lightning” (ma la scritta è significativamente riprodotta al contrario a indicare il mondo fuor di sesto); il cammeo di Melville in “The Affidavit”, quasi a certificare la veridicità della “testimonianza” riportata nel capitolo; e infine la semplice efficacia di “The Whiteness of the Whale”, dove la pagina rimane completamente bianca.

Un libro da arpionare immediatamente, che va letto, studiato, solcato più e più volte.

 

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