Blaise Cendrars, Moravagine, tr. Leopoldo Carra, Biblioteca Adelphi, pp. 249, € 18,00 stampa
recensisce RAFFAELE GUIDA
Frédéric Louis Sauser nasce a La Chaux-de-Fonds, in Svizzera, nel 1887. Se pensiamo che nel 1886 era nato T.S. Eliot, nel 1885 Pound, nel 1883 Kafka e nel 1882 Joyce, bisogna dire che il futuro Blaise Cendrars era venuto al mondo in un decennio alquanto fertile di talenti letterari. Fugge giovanissimo di casa; il suo vitalismo e la sua irrequietudine lo portano a Mosca, Parigi, New York, Sao Paulo. Studente di medicina, soldato, giornalista, invitato alla scrittura da un bibliotecario russo, stabilitosi a Parigi nel 1912, fonda la rivista Les Hommes Nouveaux in cui compie l’acrobatica operazione che unirà tardo simbolismo e prima avanguardia. Considerato nume del modernismo, intenderà il suo pseudonimo – come nel manifesto Deep Today (1917) – come ciò che resta dell’autore, colto dal fuoco, dopo l’atto creativo: da qui Blaise, allusione alla brace, e Cendrars, cenere. Alternò periodi di feconda produzione ad altri di totale rifiuto; scrisse poesie e prosa; quest’ultima, incalzante e aggressiva, bilancia azione e introspezione permettendosene gli eccessi. Tra i romanzi maggiori, L’oro (1925), La vita pericolosa (1926) e Moravagine (1926). Riceve in extremis l’unico plauso letterario colto in vita: il Grande Premio Letterario della città di Parigi.
C’è solo un modo per scrivere il romanzo perfetto: unirne principio e fine in un rapporto di filiazione tale che l’amalgama dei suoi elementi divenga necessità e chiave stessa di lettura. E nel cerchio perfetto che descrive Blaise Cendrars, identità, storie, vicende e moventi sono messi in crisi e fatti passare attraverso un rigoroso ordine interno scandito da tre elementi ineluttabili: il tempo, il viaggio e il cambio – o meglio, l’interscambio – di segno tra personaggi e azioni.
Il romanzo si presenta come preludio della vera narrazione, quella di Moravagine, un misterioso e stralunato paziente di una casa di cura in cui si imbatte il giovane medico Raymond La Science, brillante e audace, assetato di conoscenza e di rivalsa sul mondo accademico. Liberare il paziente è per Raymond l’occasione della vita, la follia perfetta, ovvero poter affrancare il caos e il suo puro manifestarsi assistendone da vicino voragini e smottamenti, voli, strappi, cadute.
La vita del medico sarà fagocitata da Moravagine: i due attraverseranno Berlino, scapperanno da omicidi e finiranno nella Russia zarista del 1905, invischiandosi con il terrorismo bolscevico per ritrovarsi prigionieri degli indios sulle sponde dell’Orinoco, dopodiché ritorneranno a Parigi e saranno travolti dai fatti della Prima Guerra Mondiale (che Cendrars conosceva anche troppo bene, avendovi perso un braccio).
Dall’incontro tra malattia e salute si avrà una polarizzazione che sarà perno intorno al quale si svilupperà il contenuto. La malattia non esiste, la follia ha una sua logica, le cose sono un tutt’uno e sono osservate da dentro, in ogni singolo brano di materia in cui questa si rivela essere altro che disordine inerte. C’è qualcosa che accomuna medico e malato, che li rende fratelli, e sono la febbre e la smania che li porta lontani da sé nel ricercare la realtà a tutti i costi, giocare ferocemente con i suoi punti critici, entrare e uscire più volte dal pensiero razionale. Coloro che incontrano nel dispiegarsi delle peripezie sono personaggi civetta, distruttori e creatori di caos, i quali ne accompagnano e difendono i passaggi tra mondi e trasformazioni. La follia nel mondo urbano diventa violenza, in quello rivoluzionario diventa fede, in quello primitivo diventa sacro. Non esiste una cura, e l’unica via di fuga è offerta dalla guerra, nella quale gli ordini naturali sono ristabiliti e ogni personaggio viene posto nuovamente nella sua luce.
Tutti questi segni impregnano il libro degli umori del romanzo novecentesco, così come di quelli del realismo magico e del romanzo postmoderno. Il finale sorprendente arriverà a svelare la sua natura finale di metaromanzo.
La cifra caratteristica di Cendrars, qui, è rappresentata da ampie digressioni, climax ascendenti, paradossi, antitesi. Si aprono squarci inaspettati di disperante lirismo, e ironia, ironia nera, beffa. Vi è nel libro un respiro interno che conduce il disordine, vitale e mortifero al tempo stesso, al suo progressivo annichilimento. Cendrars è padrone della sua materia, e da cattivo maestro, insegna come sospendere ogni giudizio per penetrare l’irrazionale – fantasma a cui dover rendere conto – e mostra fin dove l’uomo deve spingersi per sbrogliare il bandolo della matassa universale, ovvero, egli stesso.
Un romanzo che nella sua impronta fortemente autobiografica stupisce per modernità e capacità di evocare impressioni e afflati di quest’epoca. Col tempo, potremo parlare di un classico.
Un più ampio profilo della poliedrica figura di Cendrars si trova nella puntata di PULP Vintage che ripropone il ritratto dell’autore scritto da Claudio Asciuti.