Roberto Saporito, Jazz, rock, Venezia, Castelvecchi, pp. 93, euro 13,50 stampa
Se c’è una cosa che Saporito dimostra di saper fare, è giocare a carte scoperte. Fin dal titolo, autenticamente programmatico. I tre personaggi di questo romanzo compatto, sintetico e cristallino (come è tipico dell’autore) sono un jazzista affermato che presta il suono della sua tromba a chiunque lo chiami e lo paghi; un chitarrista rock di una band emergente che vuole fare il colpo grosso; un’antiquaria che non esce da Venezia per nessun motivo, e che ha trasformato in arte una particolare forma di pornografia.
Dico romanzo cristallino: perché lo è la prosa di Saporito, asciutta, essenziale ma nient’affatto scontata (anche se, e qui sarebbe da tirare le orecchie a Castelvecchi, s’incontrano un po’ troppi refusi strada facendo). Ma anche i tracciati dei tre personaggi, sembrano andare in linea retta verso un incrocio che s’annuncia fin dall’inizio e che avviene senza troppe forzature; senza rivelare troppo diremo che il jazzista trova casa, il chitarrista realizza il suo album, l’antiquaria trova compagnia.
Però Jazz, rock, Venezia è anche, come il precedente dello stesso autore, Respira (che recensimmo per la Rivista nella sua attuale vita digitale), un romanzo di minaccia. Riciclo una definizione antica e nobile, usata per descrivere In terra ostile, di Philip K. Dick (una delle sue opere meno conosciute e più interessanti). La storia non è solo musica, sesso, amore. C’è un senso di qualcosa che sta per accadere che serpeggia nelle pagine, e qualcosa accade; qualcosa di brutto per qualcuno, di fastidioso per altri, di bello per altri ancora. Ma quel che accade arriva sghembo, di lato, obliquamente, imprevisto eppure, una volta accaduto, indiscutibile. Come la vita.
Come in Respira, la morte è in agguato; la violenza è sempre possibile; le cose sembrano andare su un binario prevedibile ma possono deragliare da un momento all’altro. Questo è, potremmo dire, un noir destrutturato, dove ci sono tutti i pezzi classici del genere, anche la dark lady, ma poi si ricombinano in un modo spiazzante e a momenti (diciamocelo) criptico. Ecco, leggendo questi romanzi hai sempre l’impressione che ti sia sfuggito qualcosa, che Saporito abbia fatto entrare nella stanza l’elefante che non vedi. Anche se questa volta il vedere, come scoprirà chi si avventurerà in questa compatta novelette è al centro della vicenda, forse più dell’ascolto della musica (che pure gioca un ruolo importante).
Due considerazioni conclusive. La prima: da quando ho cominciato a leggere Saporito ho constatato a ogni puntata dei passi avanti dello scrittore. Se è lecita un’estrapolazione, prima o poi ci farà qualche grossa sorpresa. La seconda: questo è un romanzo che chiama il film. Se la nostra industria cinematografica non producesse quasi solo soap opera travestite da film e pellicole furbesche e ruffiane (leggi La grande bellezza), ci sarebbe la coda di registi e produttori pronti a girare Jazz, rock, Venezia. Ma siamo in Italia, e non aggiungo altro.
23 aprile 2018
(Di Roberto Saporito Umberto Rossi ha già recensito Respira).