Laura Pugno, In territorio selvaggio. Corpo, romanzo, comunità, Nottetempo, pp. 128, euro 10,00 stampa, euro 5,99 eBook
Cos’è esattamente una narrazione romanzesca? Quali territori attraversa e quali contribuisce ad immaginare? A quale comunità di lettori e lettrici e a quale comunità tout court si rivolge, oggi, e come si relaziona con i suoi “corpi”? Quale comunità contribuisce a formare, ammesso che ne formi una? Conviene muoversi da questa sorta di parafrasi in forma di domande del sottotitolo del breve e densissimo saggio In territorio selvaggio di Laura Pugno, narratrice e poeta, nonché direttrice dell’Istituto italiano di cultura di Madrid, per addentrarsi in pagine vergate da una scrittura aforistica e a tratti enigmatica.
Il ragionamento dispiegato nel testo orbita intorno alla coppia antinomica giardino/bosco, che metaforizza sia i luoghi di ambientazione delle narrazioni sia i territori abitati da lettori e lettrici, dove per “giardino” è da intendersi un setting “pettinato”, confortevole e rassicurante e per “bosco” quella regione impervia e fitta dove “perdersi, fare esperienza”: “consolazione” e “scoperta”, insomma. Ma non c’è, avverte Pugno, una semplice opposizione quanto piuttosto una complementarietà tra i due luoghi, messi in relazione da narrazioni che non si accontentano di raffigurare o essere ambientate in uno solo di essi.
A destabilizzare e mobilitare queste narrazioni vi è ciò che Pugno chiama il “selvaggio”, categoria che emerge con forza da una riflessione sulla propria attività di narratrice, autrice fra l’altro del romanzo La ragazza selvaggia (Marsilio, 2016), per l’appunto. Il selvaggio è ciò che sta “là fuori, davanti a noi” ma che, scrive l’autrice, “non comprendiamo”. È ciò che è sconfinato e nasce dentro di noi, dal nostro corpo, nel momento in cui tracciamo confini tra un dentro e un fuori: una solitudine estrema, un’apertura sul buio, una metamorfosi catastrofica e irreversibile.
Il romanzo, dunque, sembra dirci la scrittrice, non può ridursi a strumento di stabilizzazione, un mero “conforto”, scrive; esso non può che essere un sentiero disagevole e striato da frontiere, abitate e attraversate da corpi irrequieti. Si ha la sensazione che la riflessione abbia come obiettivo critico il mondo liscio e fluido della globalizzazione elettronica, nella quale alla costruzione perturbante di storie si sono sostituite testualità frammentarie in una lingua ipersemplificata. Ecco, il “romanzo bosco”, circondato da un giardino inquietante, emerge come una possibile, disorientante risposta al mondo illusorio, senza segreti e sempre orientato di Google Maps.
Questo è un “libro scritto tutto nella mente” ma “nel mondo reale”, dice l’autrice stessa, una sorta di diaristico flusso di coscienza: insieme riflessione pubblica sulla natura della letteratura oggi e coacervo di inquietudini interiori stimolate dalla realtà filtrata dalla propria immaginazione artistica. In un momento di crisi fortissima della vecchia “critica militante”, divenuta obsoleta nel momento stesso in cui gli spazi di intervento sembravano moltiplicarsi – blog, social network, piattaforme e riviste online gratuite – e dell’asfissia della critica accademica ormai quasi del tutto incapace di interventi divulgativi, questo secondo volume nella nuova e meritoria collana “gransassi | trovare le parole” di Nottetempo ci consegna un’esperienza di lettura di quelle che, come scriveva Roland Barthes nel Piacere del testo, ci portano costantemente a sollevare lo sguardo dalla pagina per soffermarci e rifiatare, storditi da un intenso stupore.
Di Laura Pugno PULP Libri ha recentemente recensito anche il romanzo La metà di bosco.
L’autrice ha anche contribuito alla rubrica Paragrafi d’autore con una scelta di versi dai Quattro quartetti di T.S. Eliot.