Mostruose commistioni

Il mito di Frankenstein nel fumetto italiano

Se si considera che, al pari del mostro di Frankenstein, anche il fumetto, in quanto forma espressiva, si presenta come il risultato di un’inspiegabilmente salda aggregazione di parti tra loro eterogenee (verbali e figurative, in questo caso), non stupisce lo straordinario fascino che il romanzo di Mary Wollstonecraft Godwin in Shelley ha esercitato nel tempo sul medium, tanto in qualità di semplice fonte di ispirazione che di modello da riscrivere e reinterpretare instancabilmente. Realizzare una ricognizione esaustiva delle tante trasposizioni fumettistiche, più o meno fedeli, di quello che possiamo considerare a tutti gli effetti un vero e proprio mito letterario moderno, così come delle innumerevoli variazioni sul tema ad esso collegate, sarebbe un’impresa ai limiti del possibile, anche qualora si volesse dare conto del solo ambito italiano, proprio in ragione dell’ampiezza e della profondità del radicarsi delle influenze del romanzo primo-ottocentesco nell’immaginario del secolo successivo. Basti pensare all’enorme debito che hanno verso l’ambizione di dare vita alla materia inerte che assilla Victor Frankenstein, archetipo di tutti gli scienziati pazzi che affollano la letteratura, la figura dell’androide, discendente futuristico del mostro, o quella dello zombie, rilanciata dai film dell’orrore di Romero e, in tempi più recenti, dalla serie The Walking Dead di Robert Kirkman).

Perfetto esempio di questa capillare incidenza sul fumetto italiano è la miniserie bonelliana Greystorm, pubblicata nel 2009 e conclusasi con il dodicesimo albo l’anno successivo, in cui l’omonimo protagonista sembra ricalcare perfettamente, nella sua spasmodica ricerca di conoscenza, le orme del dottor Frankenstein, fino a condividerne il tragico destino tra i ghiacci del polo (sud, stavolta). I tanti richiami, neppure troppo velati, all’opera di Mary Shelley trovano d’altronde una diretta conferma nell’inserimento della giovane scrittrice tra i personaggi del volumetto Ex vitro vita, che integra i capitoli originali con una storia in cui i dilemmi etici legati alla creazione della vita in laboratorio evocati dal titolo si mescolano alla questione femminista in un’articolata struttura narrativa a più voci, che rimanda ancora una volta al romanzo.

Più chiaramente a quest’ultimo fa riferimento la riscrittura, dalla dolente carica erotica, di Guido Crepax, edita nel 2002, così come il terzo albo della storica serie Alan Ford, datata addirittura luglio 1969, che dietro all’enfatico titolo Operazione Frankenstein nasconde gli improbabili esperimenti di un caricaturale scienziato nazista alla continua ricerca di cavie umane dalle quali prelevare le «parti di ricambio» commissionategli da un facoltoso cliente con il sogno dell’immortalità, sogno accidentalmente infranto dallo strampalato agente segreto ideato da Max Bunker e Magnus, che mettono qui in piedi un riuscito divertissement sul tema del mad doctor. Un più concreto e credibile traffico di organi fa da sfondo, nel 2002, alla storia raccontata e disegnata dal poliedrico Paolo Bacilieri nel ventottesimo numero di un’altra fortunata serie Bonelli, Napoleone, il cui titolo Le lacrime di Frankenstein si ricollega senza troppi sottintesi tanto alla faustiana irrequietudine dello scienziato ginevrino quanto alla lacerante disperazione della sua Creatura, condizioni che si confondono nella figura di uno squilibrato che nel buio della sua cantina smembra i genitori per ricomporli in un unico organismo, orrido surrogato di un’unità familiare mai conosciuta.

Se si parla di Bonelli e di letteratura dell’orrore, però, non si può non chiamare in causa quello che è per molti versi il più fortunato dei personaggi della casa editrice milanese, vale a dire l’indagatore dell’incubo Dylan Dog, che in Frankenstein! (numero 60 della serie regolare, anno 1991) è chiamato a confrontarsi con un misterioso serial killer creato in laboratorio, che si discosta dal mostro del romanzo solo per alcuni non ben spiegati poteri telepatici, variante insufficiente, come ironizza lo stesso protagonista in una delle tante parentesi metaletterarie che inframezzano la vicenda, a giustificare un remake. La sostanziale sovrapponibilità, a livello di trama, delle due opere (segnalata già dal titolo del fumetto, distinguibile solo per quel punto esclamativo che sembra volerne denunciare la natura pop) è messa tuttavia in discussione dal maggior peso che la Creatura ha nell’albo: è il mostro il vero focus su cui ruota la vicenda, che si dimentica ben presto della figura dello scienziato che ne ha messo in moto gli eventi, brutalmente assassinato già nelle primissime pagine. Del resto non manca altrove, nella serie, una folta schiera di dottori ossessionati dalle potenzialità della scienza che molto devono al personaggio di Victor Frankenstein, tra cui lo stesso padre di Dylan, il malvagio negromante Xabaras. Archiviato il rapporto conflittuale tra l’essere e il responsabile della sua sventurata venuta al mondo, lo sceneggiatore Claudio Chiaverotti si concentra, piuttosto, sul motivo classico (autenticamente sclaviano) del «mostro con un’anima», spingendo, grazie anche alla straordinaria espressività dei volti disegnati da Giovanni Freghieri, su quel patetismo che nel capolavoro di Mary Shelley si mantiene sempre sotterraneo. Anima che non impedisce alla Creatura, beninteso, di massacrare a sangue freddo ben cinque uomini – «più mostruosi dei mostri», però, in quanto colpevoli dell’omicidio di una bambina – prima di esaurire il suo tempo nel mondo e spegnersi serenamente in una sequenza che si presenta come un grande omaggio degli autori al finale di Blade Runner.

Un ulteriore pastiche postmoderno si rivela essere l’interessante Mister Hyde contro Frankenstein (Editoriale Cosmo, 2010), del francese Olivier Dobremel (in arte Dobbs), inserito un po’ a forza in questa carrellata di fumetti italiani in virtù degli ottimi disegni del napoletano Antonio Marinetti, capaci di restituire le angosciose atmosfere gotiche di una Londra alternativa – tutta letteraria – di fine Ottocento, nelle cui strade personaggi di pura invenzione si mescolano a figure realmente esistite, per quanto avvolte nella leggenda, come Jack lo Squartatore e Joseph Merrick, più tristemente noto come «l’uomo elefante». In un simile scenario, dove la realtà si confonde con la finzione, l’interesse del dottor Jekyll e del suo pericoloso alter ego per i segreti racchiusi nel corpo ibernato della mostro, recuperato dal capitano Walton dopo aver abbandonato al suo destino Victor Frankenstein nella gelida desolazione artica, fornisce il pretesto per il susseguirsi di una serie di combattimenti tra nerboruti energumeni che non sfigurerebbe nelle migliori pagine de L’Incredibile Hulk o in un action movie d’antan, abilmente inframezzata da un fitto gioco di rimandi e citazioni che trasforma il fumetto in una sorta di accattivante compendio della narrativa gotica e fantastica del diciannovesimo secolo (che molto deve ad Alan Moore, ovviamente).

Già da questa breve e inevitabilmente parziale rassegna appare evidente, al di là della ricchezza di soluzioni e varianti adottate dai diversi autori nel rifarsi al mito frankensteiniano, testimonianza dell’assoluta fecondità – mai attenuatasi nei suoi due secoli – del capolavoro di Mary Shelley, la tendenza del fumetto a rielaborarne piuttosto liberamente motivi e personaggi, evitando in genere una riscrittura troppo vicina all’originale. Le ragioni di ciò vanno cercate in primo luogo nella complessità del testo stesso, nella sua studiata polifonia che vede avvicendarsi il racconto retrospettivo di Victor e quello della sua Creatura, in un duplice flashback racchiuso all’interno della cornice epistolare offerta dal resoconto che il capitano Walton fa alla sorella Margaret della sua esplorazione del circolo polare artico; un raffinato gioco di scatole cinesi che, per quanto dimostri l’eccezionalità del lavoro della Shelley anche dal punto di vista formale, poco si adatta all’immediatezza visiva del linguaggio fumettistico. A frapporsi, poi, tra l’allusività della parola letteraria e il suo tradursi nell’evidenza del segno grafico è anche la laboriosa ricerca di un uso retorico dell’indeterminatezza che il romanzo condivide con buona parte della narrativa fantastica dell’epoca, una vaghezza descrittiva che ha mostrato il fianco all’imporsi di un’estetica «apocrifa», di provenienza prevalentemente cinematografica, che è andata col tempo a sovrascriversi all’opera originale, riempendone i «vuoti» (mai tanto rilevanti come in questo caso). Ecco che quando si parla di Frankenstein il pensiero corre subito all’imponente figura dalla fronte innaturalmente ampia e al laboratorio ingombro di bobine e alambicchi fumanti proposti da film come quello di James Whale del 1931 – con un indimenticato Boris Karloff negli incomodi panni del mostro – o quello diretto nel 1994 da Kenneth Brenagh, lì dove il testo invece tace, lasciando al lettore il compito di rintracciare gli indizi (e, ancor più, le omissioni) sparsi nel racconto non troppo affidabile del protagonista e di desumerne, così, i dettagli. Poco importa che nel romanzo il procedimento in grado di riportare in vita un corpo inanimato sia appena intuibile dal febbrile interesse di Victor per lo studio dell’elettricità e dell’anatomia umana; quasi un secolo di cinematografia sull’argomento ha mostrato i segreti del folle esperimento da ogni angolazione possibile.

Da un simile repertorio iconografico, saldamente sedimentato nell’immaginario comune, sembrano volersi distaccare Giulio Antonio Gualtieri e Riccardo De Stena con il loro rigoroso adattamento, fedelmente intitolato Frankenstein, pubblicato da Star Comics nel 2015 per la collana «I Maestri dell’Orrore»: un coraggioso tentativo di fare, nel rispetto del modello letterario, tabula rasa delle tante soluzioni proposte dal cinema che trova espressione, in primo luogo, nell’attenta rimodulazione dei personaggi della storia. La Creatura torna, in quest’ottica, ad essere un vero e proprio revenant animato unicamente dal desiderio di vendetta, una figura che, disfattasi di ogni sorta di patetismo e riacquistata la sua tragica e malinconica grandezza, appare ben poco sulla pagina, pur lasciando sempre percepire la sua incombente presenza; mentre recupera un’originale centralità il suo diabolico creatore, ben delineato nel suo ruolo di contorto e tormentato don Chisciotte sempre alla ricerca di una conoscenza capace, al pari dei segreti degli alchimisti medievali studiati nella biblioteca paterna, di compiere veri e propri miracoli, compreso quello di donare la vita a un corpo artificiale. Al racconto della genesi divina dell’uomo – o, per meglio dire, a una delle sue innumerevoli varianti – fa direttamente riferimento, non a caso, De Stena per la scena cruciale della nascita del mostro, condensando in una delle vignette più efficaci dell’intero volume molte delle considerevoli questioni avanzate dal romanzo, attraverso una dissacrante rivisitazione della michelangiolesca Creazione di Adamo (il primo rappresentante biblico dell’umanità è, d’altra parte, rievocato più volte dalla stessa Mary Shelley, che non a caso prende a epigrafe del romanzo versi del Paradiso perduto di Milton…). L’essere deforme tende la mano verso il suo demiurgo, che però si ritrae inorridito di fronte al risultato della sua presunzione; perché a continuare a turbarci, da due secoli a questa parte ormai, dell’ammasso di cadaveri riportato in vita dal folle e geniale Victor Frankenstein, più di tutti i fantasmi e i vampiri sanguinari della letteratura dell’orrore, è la sua sostanziale vicinanza a noi, il suo incarnare, in altre parole, la natura realmente «mostruosa» (anche in senso etimologico, come «segno divino») dell’uomo, come lui creazione imperfetta e piena di solitudine.

Oggi abbiamo pubblicato anche la recensione di una raccolta di racconti di Thomas Ligotti, La straziante resurrezione di Victor Frankenstein; continueremo con una puntata della rubrica PULP Vintage dedicata alla rielaborazione del romanzo di Mary Wollstonecraft Shelley operata da Brian Aldiss in Frankenstein liberato; ci sarà anche una recensione del romanzo illustrato da Bernie Wrightson. A chiudere, un itinerario di letture incentrato sulla Creatura (e sul dottore)…

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