Ai tempi degli esordi di David Foster Wallace e Jonathan Franzen c’era anche lui, Tom Drury. La fine dei vandalismi, pubblicato per la prima vota a puntate sul New Yorker nel 1994, ricevette recensioni positive e lodi più o meno trasversali. Poi più nulla. Oggi NNE (casa editrice che sta facendo un pregevole lavoro nel campo della narrativa nordamericana) lo propone al pubblico italiano, all’interno della più ampia trilogia di Grouse Country, immaginaria contea rurale del Midwest statunitense.
Il romanzo di Drury narra delle vite semplici ma travagliate di tre individui qualunque, incastonati nell’anonima desolazione delle pianure dell’Iowa. C’è Dan, sceriffo della cittadina di Grafton, Louise, fotografa dall’animo malinconico, e il suo ex-marito Tiny, ladruncolo impacciato e non di rado comic relief del romanzo. Tutt’intorno a loro, un cast sconfinato di coprotagonisti più o meno presenti, che Drury elenca a fine romanzo in ordine di apparizione, come al termine di un film. L’escamotage è decisamente azzeccato, perché lo stile dell’autore – che è prevalentemente eidetico, con ampio spazio per i dialoghi spesso inconcludenti della vita di ogni giorno – resta quasi sempre in superficie, descrivendo con asciuttezza le routine di piccole crisi, illuminazioni e solitudini della provincia statunitense.
Drury ricorda Kent Haruf (altro autore della scuderia NNE) e la sua “trilogia della pianura”, anch’essa incentrata su di una piccola contea immaginaria, questa volta in Colorado. Se però Haruf si focalizza su di un mondo in miniatura per toccare temi esistenziali drammatici e universali, l’impressione è che Drury, con il suo neorealismo non di rado umoristico, voglia in fondo mostrarci “solo” un piccolo scorcio delle tante vite che scorrono lontano dai riflettori, invisibili ma non per questo indegne di un affresco leggero com’è La fine dei vandalismi. Mai spietato, mai sentimentale e palpabilmente carico di umanissima pietà, l’autore segue con amorevole dedizione le parabole spesso assolutamente prive di nota dei protagonisti.
Leggendo Drury, ci si trova spesso a domandarsi se valga in effetti la pena di assistere al relativo piattume di queste vite, ma la delicatezza con la quale l’autore tratteggia i contorni umani della sua contea, la spontaneità delle azioni e delle reazioni di Dan, Louise e Tiny, sono di per sé una dichiarazione di poetica: lo scialbore inevitabile delle pianure metafisiche del Midwest è alla fine riscattato da uno stile brillante, tragicomico, profondamente umano, quasi filantropico.
(Di Tom Drury PULP Libri ha recensito anche Pacifico.)