La fine del meraviglioso giuoco

Enrico Brizzi, Nulla al mondo di più bello. L’epopea del calcio italiano fra guerra e pace 1938-1950, Laterza, pp. 318, euro 20,00 stampa, euro 11,99 epub

Enrico Brizzi ritorna al calcio, sempre presente nei suoi testi, dal celeberrimo Jack Frusciante è uscito dal gruppo (1994) passando dalla «Trilogia fantastorica italiana» (2008-12, in ristampa per Theoria), fino a questo terzo e ultimo volume della trilogia sulla storia del calcio italiano dalle origini (1887) al 1950. Se in Il meraviglioso giuoco. Pionieri ed eroi del calcio italiano 1887-1926 (2015) l’autore bolognese (di nascita e di fede calcistica) si concentrava su fatti e personaggi davvero curiosi e spesso sconosciuti ai più, rimestando nelle origini della passione italiana per il gioco, nel secondo volume, Vincere o morire. Gli assi del calcio in camicia nera 1926-1938 (2016) l’autore celebra l’irripetibile stagione della Nazionale italiana: vincitrice dei mondiali del 1934 (giocati in pompa magna nella stessa Italia fascista) e del ’38 e dell’Olimpiade del ’36 a Berlino, con a capo quel Vittorio Pozzo che finì per rappresentare la gloria sportiva del fascismo. La Storia dunque ha un certo peso, se pensiamo anche che «Vincere o morire!» era il laconico messaggio fatto recapitare dal Duce in persona negli spogliatoi degli Azzurri, poco prima della finale del mondiale francese del ’38 contro l’Ungheria.

Una macabra curiosità riportata anche in questo terzo volume che inizia dalla fine di un mito: il Grande Torino e lo schianto sulla collina di Superga dell’aereo che lo riportava a casa da Lisbona, dopo un’amichevole con il Benfica. Quello che doveva essere l’inizio di un glorioso ciclo fu invece una fine malinconica. Ma non c’è spazio per sentimentalismi tristi: Brizzi racconta il tramonto di una delle stagioni più prestigiose del calcio italiano – all’interno di un ciclo glorioso del calcio europeo e mondiale –, con una passione enciclopedica pressoché infantile che unisce la precisione dell’aneddotica allo stupore per i gesti sportivi e i clamorosi fatti storici.

L’interesse viscerale di Brizzi per il calcio è anche – come ogni appassionato sa bene – un interesse per la geografia: materia spesso detestata a scuola eppure onnipresente negli almanacchi e albi per quanti, in gioventù, si sono nutriti di esotiche mitologie calcistiche. Il racconto della Mitropa Cup (antesignana delle attuali competizioni europee), invece, è l’occasione di vagabondare tra città e stadi dell’Europa centrale e sudorientale, incontrando i nomi leggendari di György Sárosi, attaccante del Ferencváros di Budapest, oppure di Giuseppe Meazza «il Balilla» da Milano, vero divo tra campo e pubblicità e amante dei bordelli (non molto pare essere cambiato da allora!), o ancora l’ebreo austriaco Matthias Sindelar, vero mito degli anni Trenta, probabilmente ucciso dalla Gestapo.

In effetti, la prosa di Brizzi alterna, senza soluzione di continuità, fatti calcistici e fatti di Storia «grande», costruendo una storia sociale del calcio che è anche una storia calcistica della società italiana ed europea. Così, per esempio, ci si appassiona alle vicende della Guerra civile spagnola attraverso il lento declinare del campionato locale e la fuga delle sue migliori squadre antifranchiste, come il Barcellona, in un esilio forzato ma glorioso nelle Americhe, dove saranno persino ospitate nel campionato messicano. Mentre nel secondo capitolo, «Dalla parte del torto», l’escalation che porterà alla Seconda guerra mondiale non può scindersi dalla vittoria italiana nella Coppa Rimet (il Mondiale delle origini), così come l’invasione italiana dell’Albania del ’39 si sovrappone alla storica partita giocata dagli Azzurri con l’Inghilterra dei «maestri» – che avevano di nuovo snobbato la coppa, ritenendosi manifestamente superiori – giocata a San Siro negli stessi mesi e terminata 2-2. Avvincente, poi, il racconto della tragedia della Polonia – presa a tenaglia tra la Germania nazista e l’Unione sovietica staliniana – quando l’autore impietosamente ricorda i tanti calciatori e allenatori (ebrei o nazionalisti polacchi) finiti nei lager o nei gulag, oppure trucidati a freddo dalla Wermacht, in impetuosa avanzata. Brizzi segue con immutata serietà e cura, giornata per giornata, anche i campionati non ufficiali e di natura locale e semiprofessionistica nell’Italia travolta dalla Guerra tra il ’43 e il ’45, quando la Serie A a girone unico era stata sospesa.

La lingua di Nulla al mondo di più bello è effervescente: plasmando diversi registri, Brizzi mescola la prosa asciutta e incalzante da storico divulgativo con quella rétro delle cronache calcistiche d’epoca, talvolta mimeticamente ricalcate dalla grande mole di materiale certamente consultato. Curioso notare che il titolo del volume è estrapolato da una frase scritta da Vittorio Pozzo per celebrare il trionfo mondiale della sua Italia sulle colonne de La Stampa nel 1938. Anche questi scempi avvenivano sotto il fascismo: il celebratissimo allenatore della Nazionale scriveva di se stesso e dei propri trionfi. La crescente popolarità del gioco, in effetti, ne farà sempre più l’oggetto della manipolazione di tanti regimi, ultimo forse in ordine di tempo, quello del generale Videla in Argentina. Ma il calcio sviluppatosi dopo il 1950 – punto di arrivo di questa trilogia brizziana – è quello che i più smaliziati appassionati di oggi chiamano «calcio moderno»: uno sport assoggettato alle logiche della società dello spettacolo a venire che lo governerà attraverso i palinsesti televisivi. E tuttavia, queste pagine ci assorbono e contribuiscono a quella «mistificazione» che, secondo Roland Barthes, «trasforma la cultura piccolo-borghese in natura universale», a volte universalizzandone il suo godimento.

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Di Enrico Brizzi PULP Libri ha recentemente recensito anche il romanzo Tu che sei di me la miglior parte, nonché il graphic novel Un’estate italiana, realizzato con il disegnatore Denis Medri.

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