Intervista con Frances Hardinge

Il mondo letterario ha cominciato a notare Frances Hardinge nel 2015, quando l’autrice britannica ha vinto il prestigioso Costa Medal Award per il suo romanzo L’albero delle bugie. È stata la prima volta che una scrittrice per ragazzi è entrata in lizza dai tempi di Philip Pullman.

Ho cominciato a leggere L’albero delle bugie con aspettative un po’ sottotono. Mi immaginavo infatti una parabola dipinta con i colori naif di solito riservati ai lettori più piccoli. Quello che invece ho trovato è una storia grintosa ambientata in un mondo pieno di disinganno, dove la curiosità di una giovane adolescente potrebbe costarle la vita e forse anche l’anima.

Quello che mi ha colpito non era tanto l’idea Faustiana dell’albero – questo freak della natura che fornisce lampi di verità a un costo altissimo: per ogni verità ottenuta bisogna «diffamare» una verità personale – ma l’accuratezza dello sfondo storico. Unico romanzo di filosofia della scienza per ragazzi che io conosca, L’albero delle bugie ha infatti senso solo in un mondo post darwiniano, dove il concetto di «verità» è continuamente messo in discussione. Niente di didascalico, sia chiaro, anzi, il romanzo è una gioia da leggere. C’è azione il giusto, continui giochi di investigazione e un linguaggio che non si sta mai fermo ma si avvolge invece alla pagina in spire criselefantine.

Siete avvertiti: Frances Hardinge scrive per bambini e Young Adult. O almeno così ci dice lei stessa. Il che è un gran sollievo, perché in tal modo il superbo uso che fa del fantastico può esserle perdonato dal mondo letterario.

A essere onesti introdurre Frances ai lettori italiani è una faccenda un po’ imbarazzante. Soprattutto se la si vuole giustificare in quanto autrice fantasy. Si tratta di uno sforzo maldestro simile a quello di far conoscere i disegni di Picasso a dei caricaturisti. In apparenza quello che fanno è la stessa cosa, un testardo abuso dell’anatomia umana, ma con fini molto diversi. Ché il fantastico nei libri della Hardinge non viene usato per impressionare il lettore con una meraviglia effimera. Al contrario, il fantastico di Frances Hardinge ci ferisce con un tagliente senso del meraviglioso che ci trasporta nelle regioni più profonde del nostro sé: perché tutti i protagonisti delle sue storie alla fine imparano a capire come il loro ambiente li condiziona fino alle ossa, e come fare ad esistere al di là di quel condizionamento. È in questo senso che tutti suoi romanzi sono storici, perché sottendono la consapevolezza della storia come modellatrice di vita. E al contempo però sono tutti fantastici perché il privilegio proprio dell’immaginazione è quello di poter plasmare l’anima che immagina.

Negli ultimi tempi Mondadori ha pubblicato tre dei romanzi più recenti della Hardinge. Oltre al soprammenzionato The Lie Tree, ci sono La voce delle Ombre (A Skinful of Shadows) e Una ragazza senza ricordi (Cuckoo’s Song). Il primo dei due, ambientato nei cupi anni della guerra civile Inglese, nel XVII secolo, racconta di una famiglia nobile i cui rampolli non ereditano solo terre e denaro ma letteralmente le anime dei loro antenati.

Per quanto riguarda Una ragazza senza ricordi, è semplicemente uno degli incubi più belli che io abbia mai letto. Se come me pensate che Tim Burton in tempi recenti si sia inflaccidito, se vi piacerebbe che Miyazaki scrivesse un romanzo la cui bellezza ispiri soggezione come La Città Incantata, e che lo ambienti nei primi anni del XX secolo con il vecchio spirito Burtoniano, allora vi aspetta una bella sorpresa. Dovendo riassumerne la trama direi che si tratta della storia di una bambina-bambola che deve imparare a diventare viva. Nonostante i suoi pseudo-genitori, nonostante l’odio della sorella minore, nonostante i rigidi precetti post-Vittoriani con cui è stata cresciuta, Triss-Trista deve imparare a diventare umana, anche più umana della bambina di cui è la maldestra copia. E se questo non bastasse a convincervi a comprarlo ci aggiungo: una città attaccata al contrario sotto un ponte; bambole urlanti; una tempesta di neve personale; film muti assassini; e molto di più.

Per l’inizio dell’anno nuovo io e quelli di PULP Libri abbiamo deciso di regalarvi una primizia: domande nuove di zecca a cui Frances ha risposto con il suo eloquio britannico. Quelle che seguono sono le sue risposte. Vi esortiamo a fare silenzio perché Frances parla a bassa voce ed ogni sua parola deve essere ascoltata con attenzione. Pronti? Eccole…

Chi vuole potrà leggere il testo originale in inglese dell’intervista.

Hai detto in un’intervista che la maggior parte dei tuoi libri storici sono ambientati negli «strascichi» dei grandi rivolgimenti storici. Puoi spiegare questa tua particolare scelta?

Sono affascinata da cambiamenti drastici, e da come le persone riescano a reagire ad essi. Una ragazza senza ricordi, L’albero delle bugie e La voce delle ombre sono tutti ambientati in periodi storici in cui chi ci viveva sentiva che il mondo a loro familiare era finito ed erano stati «scagliati in un nuovo universo» dove le vecchie regole non funzionavano più. In tempi come quelli, alcuni erano in grado di accettare il cambiamento e adattarsi, cercando nuove opportunità. Altri però non riuscivano a gestirlo, e si aggrappavano invece alle vecchie regole e credenze.

Sono sempre interessata in tutto ciò che metta alla prova i personaggi e riveli il loro carattere, e questa è una delle ragioni per cui le mie ambientazioni coinvolgono tempi storici in cui le persone devono affrontare grandi cambiamenti – rivoluzioni, transizioni e «strascichi».

Una rivoluzione non deve essere per forza di natura politica. Ne L’albero delle bugie l’onda di cicatrizzazione del cambiamento è di tipo culturale e spirituale. Il libro è ambientato a meno di dieci anni dalla prima pubblicazione de L’origine della specie di Charles Darwin, e sulla scia della scoperta dei geologi che il mondo era molto più antico di quanto creduto precedentemente; in effetti vecchio abbastanza perché la teoria dell’evoluzione fosse credibile.

In questa rivoluzione della mente non ci furono colpi di fucile, ma tali rivelazioni ebbero comunque un effetto drastico sulla visione del mondo di molti. Per la prima volta delle prove scientifiche avevano messo in questione le verità della Bibbia, e questo lasciò la gente senza fiato, incerta sul loro posto nel cosmo.

Inutile dirlo, è stato molto divertente fare ricerca su questi tempi di cambiamento e molto emozionante scriverci sopra!

Alcune persone diventano dipendenti da caffè, sigarette, droghe. Altri, pare, dalle metafore. Ci vuoi raccontare come è nata la tua dipendenza e come riesci a gestirla?

Sì, ammetto di essere colpevole! Ogni autore ha i suoi difetti, il mio è quello di non saper resistere a giocare con le parole. C’è qualcosa di inebriante nella musica della parole, e nel modo in cui si accendono l’un l’altra se le sfreghi tra loro in strane combinazioni. Le metafore in particolare sono magiche. Prestano vividezza alle descrizioni fisiche e posso rendere le idee più astratte comprensibili, trasformando l’ordinario in qualcosa di sorprendente.

Ovviamente io penso per metafore, non riesco farne a meno. Anche quando parlo, similitudini e metafore si insinuano dentro il mio modo di parlare. Quando scrivo, spesso non mi rendo conto di quante ne stia usando. Grazie al cielo il mio editor e i membri del mio gruppo di scrittura sono severi con me e mi aiutano a ‘sfoltire la mandria’.

Basta che tu non le sfoltisca troppo! La bellezza della tua lingua è una delle ragioni per rileggere i tuoi libri fino allo sfinimento… Passiamo ad altro. Una delle tue parole preferite per descrivere il tuo lavoro è «bizzarro» – odd in Inglese – al punto che ha confessato di collezionare «bizzarrie» per nutrire la tua ispirazione. Ci puoi dire qualcosa su questa parola e sul modo in cui ti rappresenta?

Sono consapevole che le mie storie possono essere un po’… inusuali.

Ho questa paura radicata di raccontare storie che sono già state raccontate, o di cadere nei cliché, o di ripetermi, o di riciclare topos triti e ritriti. Il risultato di questa paura è che parte del mio cervello cerca compulsivamente di trasformare le mie idee per renderle più interessanti.

Quando stavo facendo il mio brainstorming per A Face Like Glass (romanzo ancora inedito in Italia), un romanzo che include tra le altre cose una città labirintica dalla topologia inaffidabile, piante carnivore fosforee, profumi che controllano la mente, formaggi che esplodono, e una pazzia contagiosa indotta dalle mappe, dissi a una mia cara amica che temevo la mia storia fosse troppo derivativa. Lei mi diede una lunga occhiata e rispose: «No, Frances, non è derivativa, è una roba fuori come un balcone.»

È anche vero che le stranezze accendono spesso la mia immaginazione. Coincidenze o modi di fare peculiari, strane frasi, leggende bizzarre, o persone ancora più bizzarre… sono tutte cose che mi ispirano.

Il «glamour» non mi incuriosisce. La stranezza, sì.

Ciò che forse amo di più del tuo lavoro è il «rovesciamento» nella caratterizzazione dei personaggi. A volte infatti introduci personaggi che sembrano essere totalmente positivi, eppure più tardi li scopriamo essere degli antagonisti, come Josh in Verdigris Deep (romanzo ancora non tradotto in Italia). La mia preferita è Violet di Una ragazza senza ricordi. All’inizio la donna è descritta come fredda e insensibile, per poi diventare forse il personaggio più amabile dei tuoi libri.

Le persone sono incredibilmente complesse e misteriose. Non possiamo mai davvero conoscere qualcuno fino in fondo, nemmeno noi stessi. Siamo come un frammento di musica in continua mutazione, e possiamo solo afferrare alcuni movimenti delle nostre rispettive sinfonie.

La signora con cui chiacchiero in palestra sembra essere una persona piacevole, ma sto solo afferrando un ritornello della sua melodia. In altri punti la sua sonata potrebbe essere un waltz sinistro, una marcia eroica… o entrambe le cose.

Fin da tenera età sono stata appassionata di gialli, storie dove nessuno è come sembra, tutti hanno un segreto e un intento omicida può rimanere acquattato dietro il viso più amichevole. Ho anche visto i film di Alfred Hitchcock a un’età molto giovane e impressionabile. Le sue pellicole sono zeppe di shock, tradimenti e inganni, persone e luoghi in apparenza comuni che diventano a un tratto minacciosi. Anche se trovavo queste idee terrificanti quando ero giovane, erano anche eccitanti. L’ordinario può diventare straordinario senza preavviso. E il familiare può scrostarsi per rivelare un mondo oscuro e pericoloso.

In realtà sono un’ottimista quando si parla della mia specie. Le persone sono sorprese senza fine, e molto spesso la sorpresa non è cattiva. Qualcuno che troviamo fastidioso, noioso, disprezzabile o incongruo può rivelare insospettate riserve di gentilezza, coraggio morale, saggezza o forza di volontà.

Nel caso di Violet, ero decisa a fare in modo che le impressioni del lettore cambiassero nel corso del libro. Ogni volta che mostravo un capitolo di Una ragazza senza ricordi al mio gruppo di scrittura, chiedevo ai suoi membri cosa sentivano nei confronti di Penn, Triss e Violet, per capire quanta simpatia provavano per loro, e se era cambiata dal capitolo precedente. Stavo giocando un gioco piuttosto complesso con l’empatia del lettore e volevo sapere se avevo trovato l’equilibrio giusto a ogni passaggio!

Qualcuno ha detto: «Scrivere per una audience particolare è una questione di quale lettore escludi. I buoni libri per adulti escludono i bambini. I buoni libri per bambini non escludono nessuno». Puoi dirci qualcosa di più sulla tua relazione con i tuoi lettori più maturi?

I miei lettori adulti sanno che non sono la mia priorità, e non sembra che gli importi. Sono sicuramente felice di scoprire che i miei libri che possano piacere a diverse fasce di età. Mi piace pensare che chiunque possa leggere quello che ama, e personalmente leggo parecchi libri per bambini e Young Adult. Una delle gioie di leggere un buon libro è che, quando ci torni in momenti diversi della tua vita, è un libro diverso. Il mio libro preferito quando avevo dieci anni era La collina dei conigli. È una meraviglia anche da adulti, ma ora noto e apprezzo cose diverse, come la capacità mitopoeitica dell’autore e la sua inventiva nel creare nuove parole.

A proposito di inventiva, i titoli originali dei tuoi libri sono davvero magici. Come ti vengono?

Quando ero piccola davo per scontato che il titolo di un libro fosse deciso prima che il romanzo fosse scritto. Ora so che il titolo è spesso in discussione mentre viene scritto, e che a volte il titolo lo si decide quando il libro è già finito!

Ho sempre un working title quando scrivo, ma ora mi sono abituata all’idea che potrà cambiare. Nessuno dei miei primi quattro libri alla fine ha avuto titolo che avevo pensato all’inizio! In tutti e quattro casi gli editori hanno ritenuto che il titolo proposto non fosse abbastanza d’impatto. (Col senno di poi, penso che avessero ragione). Mi chiesero quindi di tirar fuori una lista intera di titoli, suggerendone alcuni loro stessi, e dopo molte discussioni e brainstorming comuni siamo arrivati a dei titoli che soddisfacevano tutte le parti.

A Face Like GlassUna ragazza senza ricordi e L’albero delle bugie hanno finito per avere il loro titolo di partenza. La voce delle ombre si chiamava in origine Fredda eredità ma penso che il titolo finale sia molto meglio! In traduzione poi i miei titoli hanno germogliato altri nomi, alcuni in lingue che non posso nemmeno leggere…

Tanto di cappello.

Ricambiamo! Grazie, Frances, per la tua disponibilità.

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Se siete interessati al lavoro di Frances Hardinge, potete visitare anche il suo sito web.