Dimenticate le mitologie contemporanee sulla cosiddetta “fine del lavoro” e sulle magnifiche sorti dell’automazione: Forza lavoro di Roberto Ciccarelli, filosofo e giornalista del quotidiano il manifesto per il quale scrive di conoscenza e lavoro precario, ha scritto un libro che va oltre le semplificazioni mediatiche e invita a rimettere al centro dei processi produttivi contemporanei la “forza lavoro”: gli uomini, le donne le loro potenzialità. In un tempo in cui il lavoro è sempre più polverizzato e non retribuito e qualcuno è diventato “imprenditore di se stesso”, per Ciccarelli la forza lavoro non va intesa come un “posto di lavoro” né come una merce: essa ha al suo centro la potenza umana e la sua corporeità.
Il saggio, composto di quattro capitoli, un prologo e un epilogo (“Cosa può una forza lavoro”), si propone di “passare a contropelo la storia del lavoro autonomo e subordinato”. Per entrare in questo testo è bene riprendere una citazione dalla “Critica del programma di Gotha” (1875) di Karl Marx: “Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza”, ad esso viene attribuita “una forza creatrice sopranaturale”, mentre è nella forza lavoro (umana e storica) che si trova la potenza creatrice e trasformatrice che rende possibile l’esistenza del lavoro e delle merci. Così, attraverso una vertiginosa genealogia, l’autore ci presenta la condizione contrattuale del gladiatore romano: un lavoratore autonomo che decide di alienare volontariamente e solo temporaneamente le proprie prestazioni; o ci parla di un freelance prima militare poi politico nella Firenze di Machiavelli, oppure del flâneur, viandante metropolitano che nella Parigi di Baudelaire si trasforma in spettacolo, divenendo contemporaneamente lavoro e merce.
La forza lavoro è, dunque, denominatore comune di una condizione/identità mutante che continuamente sconfina tra incerte forme contrattuali e non lavoro, (auto)sfruttamento e autonomia che non sono poli opposti ma momenti contigui e, più spesso, continui. Per l’autore la forza lavoro coincide con le potenzialità individuali, collettive e cooperative di uomini e donne, che si tratti o meno di lavoratori in senso stretto. La forza lavoro è un “esercizio di libertà e autodeterminazione” e non qualcosa che si riduce ad essere al servizio dell’estrazione di valore a vantaggio di pochi: è sfruttabile e disciplinabile, ma non può essere posseduta da parte di chi la sfrutta.
Nell’ideologia dell’automazione coltivata nella Silicon Valley, la forza lavoro viene gradualmente sostituita dalla (presunta) intelligenza delle piattaforme digitali e degli algoritmi. E tuttavia, addestrare macchine, algoritmi e piattaforme è il lavoro oscuro e precario di tutti coloro che ovunque nel mondo, davanti ad un pc (spesso di loro proprietà), immettono dati e li classificano in categorie. Il libro offre una fantasmagoria di personaggi che si celano dietro gli schermi e che interpellano la nostra vita quotidiana, scandita da periodi più o meno lunghi trascorsi a mettere “like” e a rispondere a ‘interrogazioni’ di vario tipo da parte dei nostri siti di shopping online preferiti, noi pure compartecipi dell’intelligenza delle piattaforme. Perché la forza lavoro del capitalismo delle piattaforme è costituita da milioni di utenti che producono ricerche e si prodigano in un ininterrotto lavoro di registrazione di dati e valutazione (la recensione e la conseguente reputazione), che algoritmi e macchine accumulano e riprocessano. Questo lavoro sconfina nei nostri pc, nei nostri dispositivi mobili, fluttua nelle vite dei micro-operai della “fabbrica diffusa”, senza orari né altri limiti.
Ciccarelli ci mette davanti ad una composita costellazione di lavoratori che definisce “nomadi”: la lavoratrice domestica e il rider della consegna di cibo a domicilio, il migrante precario e il lavoratore che inserisce dati e li categorizza per le grandi piattaforme emergono non come vittime ma come soggetti produttori che si prendono letteralmente cura del mondo: potenti ed essenziali.
È impossibile smettere di leggere questo ricchissimo saggio senza pensare ai tanti che, dalle tribune mediatiche, sbraitando contro i migranti, in realtà attaccano proprio questa costellazione, con la terribile speranza di sottomettere per sempre questa forza lavoro. Perché il lavoro di cura è preziosissimo: un tempo appannaggio esclusivo delle donne che lo elargivano gratuitamente, oggi è divenuto il lavoro di tantissimi e con esso se ne vorrebbe estendere anche la gratuità. Ma la forza lavoro raccontata e teorizzata da Roberto Ciccarelli è indomita, resiste, si sottrae, fa esodo: è contro il lavoro e per la liberazione della potenza umana. È l’elemento insieme essenziale e imprevedibile della lunga e serrata marcia dell’automazione al tempo del governo dell’algoritmo.