Frattali di sentieri e ricordi

Vanni Santoni, I fratelli Michelangelo, Mondadori, pp. 612, euro 20,00 stampa, euro 9,99 ebook

“C’era Livia Livi, piccola. […] Livia ricostruita, poi, in seguito, reinventata; quella che divenne la Viviana incorrotta di Serpi di Terrabassa – Livia sposa promessa. […] C’è Rosa, […] Rosa con la faccia severa e il profilo da allegoria, Rosa con un capillare rotto nell’occhio e in braccio Aurelia appena nata. […] Quando conobbi Beatrice, […] pensai che fosse lei l’aleph. Era amore per l’intelligenza, quello? O era il fatto che fosse fiorentina, benestante, colta, fattiva… L’amore è il compimento di un progetto? Sarebbe ben poca cosa, allora, anche laddove incarnasse la speranza di iniziare un percorso nuovo, più giusto. E nonostante tutto, infatti, ci fu […] Margherita, l’ultima che avrei detto mai. […] L’amore è buonsenso? Allora il massimo del buonsenso è non smuoversi più, arrivare magari ad attendere la morte assieme: [con Dianna] ho vissuto metà del tempo che ho trascorso con Beatrice, madre dei miei “figli amatissimi”. […] E tu, Colette? Ancor più marginale, se vogliamo, eppure guarda come ti metto adesso al centro. […] Io di amici non ne ho neanche fuori: per ogni adulatore che compare, per ogni adepto che oggi si accoda, ecco un amico che si inabissa…”

I fratelli Michelangelo è l’ultima, monumentale opera di Vanni Santoni: più di seicento pagine dedicate alla(e) famiglia(e) di Antonio, dirigente, regista, scrittore, incisore, per molti addirittura un “maestro” di vita che, a più di settant’anni, scrive ai figli e li convoca a sé senza rivelare il motivo di questa improvvisa chiamata. Dei cinque, solo Aurelia, la maggiore, si rifiuta di rispondere all’appello: gli altri scelgono di raggiungerlo, ma la loro decisione di partire verso il remoto paese di Vallombrosa è l’inizio di un viaggio prima di tutto metaforico.

I fratelli hanno avuto vite e destini diversi: c’è Louis, che, perseguitato dal peso di figlio illegittimo, quasi depersonalizzato dalla passività del padre, è intrappolato in una zona grigia tra imprenditoria e illegalità; Cristiana, che, ancora vittima dei problemi irrisolti dell’ipocrisia della “famiglia felice” e ossessionata dalla ricerca del successo artistico, tenta invano di darsi una propria voce nel percorrere la stessa carriera di Antonio. Rudra, che è cresciuto con lei, ha invece traslato la ricerca di Sé nella partecipazione al Tutto, ed è riuscito, almeno in parte, a compiere il miracolo del mantener vivo l’incanto infantile di un mondo fantastico che sfiora la realtà e la compenetra. Infine troviamo Enrico, “il fu Enrico Romanelli” sconcertato dalla scoperta di essere figlio illegittimo, che si interroga con tenerezza e timore sui propri fratelli e scopre quanto la presenza di Antonio Michelangelo l’abbia accompagnato per tutti gli anni della sua formazione, nella declinazione di una paternità sotterranea eppure partecipe attraverso i libri introdotti clandestinamente sugli scaffali della casa in cui ha vissuto.

Antonio è raccontato attraverso altri occhi, altre vite: l’identità e la ricerca di Sé – mediata dall’arte o dalla religione, sfibrata, sofferta eppure irrinunciabile – è uno dei temi cardine del romanzo, nel quale a poco a poco perde importanza il cosa, sostituito dal come in una cronologia parallela, poi circolare, ripercorsa dai figli e in seguito ripresa dal padre anziano, non più maestro, ma uomo, forse addirittura mistificatore, erede di una famiglia umile che ha creato da sola le sue radici a partire da quel nome altisonante, Michelangelo, talismano di fortuna artistica e miseria nei rapporti umani.

In un periodo in cui la critica letteraria si è quasi definitivamente arresa ai commentatori del web che combattono lancia in resta a colpi di spoiler e infodumping, Vanni Santoni si (e soprattutto ci) concede il tempo di respirare: tra le pagine de I fratelli Michelangelo ci sono amore e dolore, passione e rabbia, tenerezza e tutte le sfumature dell’essere. Nessuno dei cinque fratelli è perfetto, né deve o vuole esserlo: nelle sue parole, che siano ricercate o volgari, poetiche o sarcastiche, addirittura feroci (ne è un esempio la splendida riflessione di Enrico come aspirante scrittore…), Santoni racconta una storia profondamente umana, tesa alla ricerca di qualcosa di primordiale, intangibile eppure vivo, altro da noi, ma così vicino da poter essere visto, o meglio intuito, nelle variazioni di uno specchio d’acqua.

Tutto questo è raccontato con uno stile colto, eclettico, ricco di citazioni (alcune letterali, molte altre “rimaneggiate fino a diventare altro”). Nel trasmettere l’affamata voglia di vivere dei suoi personaggi, Santoni, come Cristiana Michelangelo, gioca con le parole, provoca il lettore in un’apnea di pensieri, aspirazioni, verità non dette e altre gridate. I fratelli Michelangelo è, più che un romanzo corale, un labirinto di specchi nel quale il riflesso di ogni fratello si sdoppia negli altri, per poi ricomporsi nel precipitare dei pensieri di Enrico, nello smarrimento di Cristiana, nella sofferenza di Louis, nell’intricata complessità di Rudra, fino a echeggiare nel loro padre, grandioso nella propria debolezza, invitto nella sua fragilità. Santoni ci fa intuire molto di sé, della propria Weltanschauung: I fratelli Michelangelo è un romanzo che si merita più di una lettura, nel seguire ogni volta una traccia diversa, un rivolo che scorre fino a diventare torrente e poi fiume.

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