Howard Phillips Lovecraft, Contro la religione. Gli scritti atei di H. P. Lovecraft, tr. Guido Negretti, a c. di S.T. Joshi, pref. Christopher Hitchens, postf. Carlo Pagetti, Nessun dogma, pp. 332, euro 18,00 stampa, euro 8,99 epub
Lovecraft. Sempre Lovecraft. Ancora Lovecraft. Si finirà mai di leggere, commentare, studiare, pubblicare, ristampare Lovecraft? Chissà. Forse un giorno si esaurirà la forza di questo autore, scomparso ottant’anni fa senza aver visto pubblicato nemmeno un volume dei suoi scritti. Per ora non si vede proprio la fine della lunga e continua emersione della sua opera.
Qualche mese fa è uscito per Bietti il suggestivo Oniricon: Sogni, incubi & fantasticherie, raccolta completa (ancor più delle edizioni americane!), curata da Pietro Guarriello, dei sogni di Lovecraft da lui rievocati nelle lettere. La raccolta dei suoi testi sulla letteratura intitolata Teoria dell’orrore: Tutti gli scritti critici, a cura di Gianfranco de Turris, è appena stata ripubblicata (sempre da Bietti) in edizione aggiornata. E ora questa inaspettata raccolta di lettere sulla religione e l’ateismo, scelte e annotate con precisione da S.T. Joshi, una garanzia in campo lovecraftiano, offerta dalle edizioni Nessun Dogma (apprezziamo il calembour).
La presente raccolta di lettere, tra le 100.000 scritte in vita e le circa 20.000 rimaste, si aggiunge, per noi italiani, a Lettere dall’altrove: Epistolario 1915/1937, a cura di Giuseppe Lippi (da anni esaurito), e a L’orrore della realtà, a cura di De Turris, ancora in catalogo per le Edizioni Mediterranee. Ma è recente anche una piccola antologia a cura di Marco Peano per L’Orma: L’età adulta è l’inferno: Lettere di un orribile romantico. Questa raccolta segue però un criterio di scelta tematica molto preciso, un po’ come Oniricon: Joshi ha scelto tutte le missive in cui Lovecraft ha trattato il tema della religione e della credenza in un culto, il senso dell’uomo nell’universo o la sua assenza. Temi che, lungi dall’essere marginali nella narrativa lovecraftiana ne sono addirittura alla base.
Qual è, infatti, l’origine prima dell’angoscia cosmica nella sua opera se non la scoperta, da parte dei suoi narratori, della completa disumanità dell’universo? Della totale assenza di significato e di valore dell’uomo al cospetto di una natura e di un cosmo in tutto alieni? Leggere questi testi è utile quindi per definire la posizione filosofica di uno scrittore che ha cercato di scrivere letteratura fantastica partendo dal presupposto meno fantastico possibile e al tempo stesso il meno accettabile per la sua enormità: l’uomo non è nulla.
Le sezioni del volume, ottimamente tradotto da Guido Negretti, sono quattro. La prima è di carattere più personale e contiene alcune informazioni importanti sulla sua biografia. Lovecraft descrive la sua graduale ma precoce comprensione della falsità delle concezioni cristiane. Sono i culti greci e romani e la mitologia classica scoperta sui libri che per primi mettono in crisi le consuetudini morali cristiane. Ma piano piano, grazie anche alle infinite e precoci letture scientifiche il giovane Lovecraft forma il suo ben saldo ateismo, nonostante la propria posizione nei confronti della religione sia molto più complessa, come vedremo.
Nella seconda sezione troviamo quattro testi sulla religione in generale. In alcuni passi è evidente che il titolo del volume può essere oggetto di critiche. Se l’autore, infatti, ha molto da dire contro la religione è altrettanto convinto, utilitaristicamente, dell’assoluta utilità di essa come forza coesiva e benefica per la società. Lovecraft però si dice assolutamente contrario al fatto che la religione pretenda la fede in essa anche da parte di coloro per cui l’assoluta irrazionalità di Dio è evidente. Insomma, non si deve obbligare a credere. Ma la verità è davvero pericolosa:
Per quanto riguarda la nuda realtà noi sappiamo solo di essere un granello immerso nei travolgenti vortici dell’infinito e dell’eternità. Sappiamo che tutto l’universo obbedisce a certe leggi o principi la cui fonte non conosciamo, ma che apparentemente risultano dall’interazione di particelle materiali o modi di moto. […] Della nostra relazione con l’universo non possiamo sapere alcunché. Tutto è caos e immensità. Ma dato che tutta questa conoscenza non può essere di alcun valore per noi, è meglio ignorarla nel nostro modo di vivere giornaliero. È pericolosa e per questo non dovrebbe essere propagata; tuttavia ogni uomo ha il diritto di pensare ciò che pensa e di credere ciò in cui crede.
Un passo, questo, tra i tanti illuminanti di questo volume, che spiega perfettamente le contraddizioni della sua posizione ma nello stesso tempo definisce perfettamente il motivo fondamentale della sua letteratura. La verità andrebbe ignorata. Ma l’uomo che ragiona non è capace di farlo e questa è la sua condanna.
Nella terza parte troviamo alcuni lunghi brani di lettere dedicati al rapporto tra religione e scienza. In questa sezione ritroviamo anche un intelligente utilizzo della dottrina nietzschiana dell’eterno ritorno (che Lovecraft cita nel tedesco ewigen Wiederkunft) come unica possibilità del concetto di eternità che esclude quindi la possibilità di un Dio che dia inizio al mondo.
Nell’ultima sezione del libro possiamo leggere alcune lettere sul rapporto tra la religione e la società. In queste epistole l’autore si sofferma tra l’altro sul rapporto tra etica ed estetica (affermando che la prima, nella sua filosofia, si regge sulla seconda) e sulla possibilità di un’etica anche al di fuori della religione.
Gli argomenti toccati da Lovecraft all’interno del tema religione/ateismo sono molteplici e trattati con serietà e ampiezza, nonostante l’origine epistolare (alla grafomania di Howard siamo abituati). Questo volume sicuramente incuriosirà gli appassionati della sua narrativa, che faranno bene a leggerlo soprattutto se sono tra coloro che si sono creati un’immagine di Lovecraft «occultista». Ma perchè, allora, scrisse di culti insensati, di orrore, di mostri, di dei orrendi? Perchè le cose non sono mai così semplici e perchè l’uomo non è solo ragione. Perchè, come dice lui stesso, se il fondamento della sua posizione atea è la ragione, alla base del suo gusto per la fantasia e del suo amore per l’antichità c’è la sua sensibilità estetica. In una parola: la bellezza. E se da bambino trascorreva ore fingendo di credere nei più diversi culti per saggiarne la possibile verità, quell’esercizio è stato fin da allora oltre che filosofico, un esercizio letterario. E immaginare l’uomo nell’abisso più nero, schiacciato da esseri abominevoli e gettato in un mondo che lo annienta è un pensiero umanamente angosciante e insostenibile ma, letterariamente sublime.