Caso letterario in Repubblica Ceca, il romanzo di Kateřina Tučková è ispirato a vicende reali, che affondano le radici nella storia ancestrale della Mitteleuropa. Nella zona della Moravia che comprende i Carpazi Bianchi, al confine tra le odierne Repubblica Ceca e Slovacca, almeno dal 1600 è attestata la presenza di un gruppo di donne che operano una sintesi di pratiche magiche e religiose “includendo nei rituali magici anche il Dio cristiano”. Per questo venivano chiamate bohyně (dee): conoscevano la bohování (da bůh, Dio), l’arte della divinazione e dell’insieme dei consigli che si basano su di essa. Una pratica che “consiste nel pregare Dio perché ciò che il soggetto desidera si avveri”.
Queste donne sapevano curare molte malattie, predire il futuro interpretando la cera rappresa nell’acqua, e non da ultimo fabbricare filtri d’amore o scacciare le tempeste, a seconda delle diverse specializzazioni di ognuna. Non stupisce che il clero le avesse subito tacciate di stregoneria, accanendosi su di loro anche a causa dell’autorità e del credito che godevano presso la popolazione. Ma come scoprirà la protagonista, qualche dea era una vera bosorka, una fattucchiera dai poteri nefasti cui rivolgersi quando si voleva fare del male a qualcuno.
Nella fiction, l’ultima erede di questa affascinante stirpe è la giovane Dora Idesová, che ha scelto di dedicarsi allo studio delle dee anche per ricostituire il legame con la sua infanzia nel paesino di Žítková con l’amatissima zia Surmena, una delle ultime grandi dee, nonché colei che l’ha cresciuta dopo la tragica morte dei genitori. Negli anni Novanta, l’apertura degli archivi della polizia segreta comunista consente a Dora di fare luce sulla fine della donna; perseguitata dal regime a causa della sua attività di guaritrice, che veniva considerata dal comunismo una pratica oscurantista e truffaldina, Surmena fu vittima di un accanimento che ha dell’incredibile.
L’indagine non fa che accrescere le perplessità di Dora: che cos’ha fatto quella vecchia tranquilla e saggia per scatenare una tale furia persecutoria nei suoi confronti? Nella sua indagine la protagonista si ritrova svelare il cuore oscuro del suo paese e dell’Europa intera: prima del Comunismo, infatti, le dee avevano suscitato anche l’interesse, di segno ben diverso, dei nazisti. E come spesso accade, dietro il volto impersonale del potere si celano le miserie e gli egoismi dei singoli.
Il romanzo alterna la riproposizione di materiali d’archivio – che, come dice l’autrice stessa nella nota finale, “sono inventati, ispirati però a del materiale esistente” – al racconto delle vicende personali di Dora, di fatto impegnata in una ricerca identitaria tout court. Incapace di abbandonarsi alle superstizioni che fanno parte del suo retaggio familiare ma scettica nei confronti del materialismo comunista in cui è cresciuta, fedele all’infanzia bucolica con la zia ma incapace di perdonare il padre, vero orco della sua infanzia, Dora cerca faticosamente di trovare un po’ di autentico calore umano, prima ancora che il vero amore, nella provincia bigotta come nell’anonima Brno, incarnando le contraddizioni di un paese sospeso tra un passato atavico e un futuro incerto.
Al contempo, L’eredità delle dee ci spalanca a ogni pagina un mondo di incantesimi, passioni e maledizioni che per certi versi appare ben più reale dei nostri tempi grigi e anonimi, ma sempre vivo e pronto a inghiottirci con la verità crudele delle fiabe. Il gioco sottile tra realtà e fantasia, invenzione e storia, si pone efficacemente al servizio di una narrazione che procede lenta e sinuosa come la Moldava, ma che non risparmia colpi di scena fino all’ultimissima pagina.