Si può concordare. Dissertare sulla figura del vampiro per com’era gestita all’interno dei leggendari I Racconti di Dracula, pubblicazione periodica mensile degli anni Sessanta e Settanta che usciva in edicola, la copertina spesso occultata dall’edicolante, è un’impresa che lascio all’amico Sergio Bissoli, impareggiabile studioso e specialista proprio della materia in oggetto, avendone lui ottimamente scritto a più riprese in rete e in preziosi volumi che si chiamano Gli scrittori dell’orrore, Il mistero dei Racconti di Dracula e La storia dei racconti di Dracula, quest’ultimo in coppia con Luigi Cozzi.
Lungi quindi dall’invadere il terreno di Sergio, nel quale il mondo, me compreso, gli riconosce autorità assoluta, mi limito a ricordare che la collana nacque all’immediato seguito della moda vampiresca targata Hammer Film, edita dalla Edizioni Romana Periodici, in simultanea coppia con i concorrenti delle edizioni KKK, sempre di Roma. In ambedue le case editrici gravitavano scrittori dai fantasiosi dati anagrafici anglosassoni, in realtà tutti italianissimi, spesso con altre professioni, che svolgevano quest’attività “di arrotondamento economico” con tempi rapidissimi e un sorprendente immaginario comune non sempre di derivazione come si potrebbe supporre.
Un libro e un vampiro a rappresentanza di tutti perché l’argomento è immenso, e comunque a disposizione in rete. Titolo e autore che sono programmi di suggestione: La vendetta del conte Dracula di Red Schneider. Partiamo dall’autore, che si chiamava in realtà Giuseppe Paci, magistrato all’epoca d’oro dei Racconti di Dracula e noto anche con altri pseudonimi quali Bill Eberarth, Peter John Fenton, Abel Ford, Benjamin Mannerheim, Daniel Scott, Pericle Vander, mentre il “traduttore” era segnalato come “G. Pica”.
Paci scrisse decine di libri per la collana e molti sono proprio dedicati ai succhiasangue come Vampir mostro di sangue, L’alito freddo del vampiro e Il vampiro risorge. Per La vendetta del conte Dracula il nostro ripropose in versione ridotta, e certo con qualche variante, la parte iniziale della storia di Bram Stoker, spostando la location in Scozia. Per il resto ci sono sette giovani vite sacrificali – i soliti ragazzi che non sanno quello che fanno… -, l’immancabile castello a strapiombo e un inquietante vampiro che in verità si chiama Johann Frommell anche se i personaggi si riferiscono a lui come “conte Dracula”. I ragazzotti, al seguito di un discendente dei Frommel, vanno a pernottare nel maniero, ignari del fatto che “Dracula” ha abbandonato il sarcofago per colpa di un incauto esploratore ed entra in scena da par suo.
Serie Z, derivazione o lavoro di pagnotta, Red Schneider sapeva il fatto suo e l’ingresso del vampiro nel proscenio ha il sapore del famoso “cavallo finto” di Boris Karloff – Vurdalack nel film I tre volti della paura di Mario Bava. Ovvero, la consapevolezza della retorica “popolare” che a suo modo regala efficacia alle tecniche della paura:
“Avanzando a passi felpati, in silenzio, nero come la notte in cui si muoveva, avvolto nel mantello, il viso bianco, cadaverico, sogghignante sulle labbra violacee, il redivivo conte Johann Frommell percorreva la lunga galleria.
Sulla sua testa, stridendo, passavano, radendo le pareti, decine di piccoli volatili neri.
Johann alzava spesso verso di loro le mani dalle lunghissime dita diafane e i pipistrelli gli si accostavano.
Gli animaletti sembravano avere timore di quelle lunghe dita dche si arcuavano appena verso di loro. Ma si avvicinavano con gridolini ansiosi. Poi, virando rapidi, volavano via, sfiorando le pareti e il soffitto, uscendo da una finestra e rientrando dall’altra, passando così, nere ombre piccole e schizzanti, sulla luce della luna.
Johann rideva, in silenzio, e continuava ad avanzare.
Dalla parete di sinistra, dalle grandi tele appese nei loro enormi quadri incorniciati, gli occhi immobili dei Frommell lo scrutavano passare, seguendolo enigmaticamente-
Leggero, ad un tratto, spiccò un salto e, come se volasse, il mantello sventolante dietro a lui, raggiunse l’alto davanzale di una delle finestre.
La sua figura si stagliò sulla luce bianca.
Stette lassù, immobile, con l’ala nera del mantello che gli svolazzava intorno, al vento.
Agile, senza peso, uscì nel vuoto e camminò sul cornicione, con le spalle alla rugosa parete della costruzione, allungando i passi lateralmente. La sua ombra nera percorse così l’intero perimetro del castello, illuminata dalla luna.
Rientrò da un’altra finestra e saltò mollemente sul pavimento di un’ampia stanza quasi vuota.
Si guardava intorno, come chi ritorni in un luogo e tenti di rammentarsene i connotati.
Il suo viso esangue si voltava di qua e di là.
Le sue labbra cadaveriche si muovevano adagio come per sussurrare brevi frasi.
Toccò gli oggetti, posando le mani diafane sul legno dei mobili e sulla stoffa delle tende.
Di tanto in tanto, con repentino movimento, si avvolgeva nel mantello e chinava la testa sul petto, come se riflettesse.
Poi un sogghigno raggelava la sua fisionomia”.
Magari nel 2019 ne sorridiamo. Ma per chi ha la mia età (beh, più o meno…), I Racconti di Dracula sono stati a loro modo formativi. E trasgressivi. Come Bissoli stesso testimonia per se stesso, quei tascabili facili da nascondere sono stati consumati di nascosto, a letto, e magari occultati sotto il cuscino o il materasso. Il vampiro, pur essendo richiamato nel nome della collana, non fu il principale protagonista, ma tutte le creature del pantheon gotico (fantasmi, streghe, licantropi, varianti sul tema, senza dimenticare una piccola dose di erotismo) si alternavano sul podio con un certo e costante equilibrio. Pur se il nome di Dracula apparve 4 volte nel corso dei lunghi anni di vita della pubblicazione, dal 1959 al 1981 (Dracula anno 2000 di Alan Preston – Danilo Castellari, La notte di Dracula di Red Schneider/ Giuseppe Paci, Tesi di laurea Dracula di Irving Mathias/ Stanis Mulas, Sulle orme di Dracula di Chester Meredith/ Stanis Mulas), il riferimento era sempre arbitrario: nel primo il protagonista è un gigantesco ragno alieno che si nutre di cervelli umani; nel secondo è un vampiro mai chiamato per nome; nel terzo è uno psicopatico moderno che si identifica con il vampiro transilvanico; solo il quarto è una fantasiosa storia di Vlad Tepes l’Impalatore, la figura storica di richiamo per il re dei vampiri. Ma occorre aggiungere che, alla faccia di Stoker (peraltro, come insegna la storia del cinema, il nome “Dracula” può essere utilizzato da chiunque), il mitico cacciatore di giugulari compare un po’ di straforo anche ne Il signore delle tenebre di Mathias/ Mulas, ne L’orgia satanica di Bob Shakal/ Mario Ratti e I morti possono aspettare di Daniel Scott/ Mario Ratti. Nel primo menzionato un castellano del 1200 stringe un patto col Diavolo per sconfiggere i nemici che minacciano le sue terre e, quando muore, gli succede il figlio che è Dracula in persona; nel secondo un emulo di Van Helsing si lancia sulle orme di Dracula e si ritrova trasformato in vampiro; infine, nel terzo, uno scienziato (pazzo, per forza…) riesce a trasferire nel corpo di una giovane donna lo spirito di Dracula (ma i vampiri possiedono uno spirito? Simpatico quesito che potrebbe sfociare in uno spunto letterario…).
Insomma, l’immaginario italico al proposito è sfrenato e senza autocensure. Ma non è un’esclusiva del bel paese. Se per saperne di più di quel che capita in altri paesi a proposito della mastodontica carta stampata prodotta su Dracula (prima, durante e dopo di lui) dovreste leggervi l’ottimo saggio autoprodotto di Daniele Della Rocca Dracula – La storia del re dei vampiri in cento anni di letteratura, teatro, cinema e fumetti, nonché l’inarrivabile Il conte incubo di Franco Pezzini (Odoya, 2019) e nel contempo tenere presente che il cinema in ogni epoca e contrada è riuscito a compiere miracoli di ibridazione tematica quasi più audaci di quelli visionati ne I racconti di Dracula. Pensate a Billy Kid vs Dracula di William Beaudine (1966) dove John Carradine manco si toglie il cilindro per succhiare il collo di giovani indiane, a Dracula contro Zombi di Albert Band (1978) dove il mantello del conte viene appeso al collo di un doberman, o a Dracula contro Fracchia di Neri Parenti (1985). E qui mi fermo perché sto scantonando per puro divertimento, ma il succo mi pare evidente: Dracula, il vampiro per antonomasia, è Mito allo stato puro nonostante la sua discendenza storica. E, come tale, a eterna disposizione dell’estro creativo di qualsiasi autore horror – e non solo- impegnato nelle diverse discipline visive che ne voglia approfittare. Quel che capitò nelle menti degli autori italiani impegnati a “nutrire” la collana dei Racconti di Dracula lo si può ben immaginare. E, aldilà delle ore sottratte al sonno per molti di loro che lo facevano come secondo lavoro, presumo che mai scrittura fu più divertente.