Non è difficile rintracciare nella produzione letteraria dei fratelli russi Strugackij due differenti “toni” di narrazione. Il primo, drammatico, “serio”, caratterizza pressoché tutti i romanzi di fantascienza pura, per esempio il ciclo dell’universo del Mezzogiorno: in genere, storie d’azione basate su solide idee e con personaggi forti, ma caratterizzati in maniera distante da come siamo abituati nella fantascienza occidentale. Il secondo “tono” è invece contraddistinto da un umorismo che a noi, abituati alla commedia all’italiana o alla situation comedy anglosassone, risulta ostico; è per esempio il caso di romanzi come Lunedì inizia sabato.
Destino zoppo, tra gli ultimi (e più maturi) scritti dai fratelli, è una curiosa mescolanza tra i due toni, nonché uno dei titoli più originali usciti dall’officina Strugackij. La spiegazione sta nella sua tribolata composizione, ben raccontata nella Postfazione. Si tratta in realtà di due testi scritti a notevole distanza temporale l’uno dall’altro. La linea narrativa principale, della quale è protagonista lo scrittore Feliks Sorokin, è uno di quei romanzi destinati “al cassetto della scrivania”, nel senso che non avrebbero mai passato una o l’altra delle varie letture (o censure) necessarie per arrivare alla pubblicazione in URSS prima della relativa libertà della breve èra Gorbačëv. In tempi di cupa stagnazione, i fratelli scrittori investono quindi sul futuro, scommettono su un allentamento del controllo e un’espansione della libertà di stampa – che arriverà molto tardi. Nel 1982 il romanzo è completato; una prima versione appare nel 1986 sulla rivista letteraria Neva di Leningrado, per effetto della Perestrojka. Quel testo è molto differente dal romanzo pubblicato oggi da Carbonio, che ha una lunghezza più che doppia – per capire, occorre accennare alla trama.
Sorokin è uno scrittore di età avanzata che riposa sugli allori; vive da solo a Mosca, ha qualche occasionale relazione con donne, frequenta il Club riservato agli scrittori – tipica istituzione sovietica. Combattente nella Seconda guerra mondiale in una unità di carristi, deve la sua fama di autore soprattutto a romanzi che raccontano la guerra, con la consueta enfasi sull’eroismo della lotta contro l’invasione fascista. Un giorno riceve una convocazione dall’Unione degli scrittori, un “invito” che non si può rifiutare, benché Sorokin tenti di rimandarlo nel tempo: deve recarsi in sede portando con sé una sua opera qualsiasi, da sottoporre a una prova di nuova concezione. I suoi colleghi ci sono già passati tutti, e gli riferiscono pareri contrastanti: pare che un tecnico inserisca il manoscritto in una macchina, che fornisce un responso numerico sulla qualità del testo. Questo significa che esiste una scala in grado di misurare il valore oggettivo di un’opera letteraria?
A Sorokin questo concetto fa venire in mente la macchina del racconto La scala di Zoilo dello scrittore giapponese Akutagawa Ryūnosuke pubblicato nel 1917 – opera che i due autori avevano già letto prima del 1971. Ma se davvero è così, pensa Sorokin, cosa sarebbe meglio sottoporre alla valutazione: un pezzo scelto a caso, oppure il contenuto della Cartella Azzurra, una storia scritta da tempo sebbene mai pubblicata per le stesse ragioni che ostacolano gli Strugackij? Ecco quindi il trait d’union: il contenuto di questa Cartella Azzurra è un altro romanzo dei fratelli Strugackij, l’inedito Brutti cigni, presentato integralmente a capitoli che si alternano alle vicende di Sorokin: un romanzo di fantascienza “incastrato” dentro un romanzo “umoristico”, di quel particolare umorismo russo che ricorda, naturalmente, Il maestro e Margherita di Bulgakov. Il richiamo a Bulgakov è tra l’altro esplicito, e non sta soltanto nell’alternarsi di due storie, una sul tono farsesco e l’altra sul drammatico.
Brutti cigni è dunque un altro testo dei fratelli Strugackij scritto nella seconda metà degli anni Sessanta per una raccolta di racconti, dalla quale rimase però escluso. Il titolo allude a Il brutto anatroccolo di Hans Christian Andersen. La trama è di fantascienza: il protagonista è di nuovo uno scrittore, Viktor Banev, che vive in una cittadina mai nominata dell’Est Europa, in cui la vita è pesantemente condizionata dall’esistenza di un grande nosocomio nel quale si curano i malati di una malattia genetica: sono i mokrecy, individui che portano la metà inferiore del volto coperta da bende; il loro nome ha la stessa radice dell’aggettivo mokryj, “bagnato”, e infatti amano stare a contatto con l’acqua, sotto la pioggia per esempio, e possono morire se vengono privati della lettura di un libro (sic). In città cresce l’opposizione alla loro presenza, si verificano episodi di aggressione fisica e il borgomastro cerca l’appoggio di personalità locali per chiedere il trasferimento del sanatorio, per timore di un contagio generale.
La particolarità di Brutti cigni è che i mokrecy sembrano avere un’influenza sui ragazzini più intelligenti della città, che hanno smesso di credere ai genitori e alla propaganda del potere. Molti abitanti temono che vengano circuiti dagli appestati, come il pifferaio di Hamelin conduce via i bambini al suono della propria musica.
La trama procede inesorabile, con i capitoli incastrati uno dentro l’altro. I riferimenti al mondo della cultura russo si moltiplicano, ed è bizzarro vedere uscire dalle pagine in modo così vivido un’epoca sepolta nel nostro passato recente. Come sempre, il significato del romanzo non è espresso in maniera esplicita: è necessario abbandonarsi all’atmosfera, lasciarsi andare come Banev, come Sorokin, al flusso degli avvenimenti, con l’avvertenza che la soluzione potrebbe essere molto diversa da quanto possiamo aspettarci. Non solo perché è fantascienza, ma perché sono i fratelli Strugackij, autori nella cui letteratura il senso del meraviglioso è sempre diluito in una folla di personaggi misteriosi, mossi da intenti difficili da indovinare e spesso contraddittori, eppure mai irrazionali. Il lettore deve districarsi nel labirinto meraviglioso del non detto per arrivare a quella che non è forse la verità assoluta, ma è comunque il coerente finale logico di una grande costruzione narrativa.