Inaspettatamente, continuano (per fortuna) a essere pubblicate in Italia le opere dei fratelli Strugackij – sinora inedite – appartenenti al ciclo del Mondo del Mezzogiorno (мир полудня). L’ambientazione è un XXII secolo in cui l’espansione umana nello spazio esterno è avvenuta dopo l’affermazione planetaria del socialismo reale – non senza un certo grado di sarcasmo da parte degli autori, che al momento della stesura vivevano in Unione Sovietica.
Nel Mondo del Mezzogiorno, l’umanità è una razza evoluta e matura che si dà il compito di assecondare e sorvegliare, tramite i “progressori”, l’evoluzione di altre civiltà planetarie meno progredite. Del ciclo fanno parte una collezione di racconti che ne rappresenta l’avvio, più nove romanzi scritti in un lungo arco di tempo, dal 1961 al 1980; di sei di questi esiste l’edizione italiana, benché in almeno due casi (negli anni Sessanta sulla collana “Fantascienza Sovietica”) si tratti di traduzioni ferocemente sforbiciate per ridurre la lunghezza di oltre un terzo. Rimaniamo in attesa della traduzione dei restanti titoli, e anche di riproposizioni integrali dei precedenti già editi – specialmente il magnifico Dalekaja raduga, “Arcobaleno lontano”, tra i romanzi più belli dei due scrittori.
Una serie di personaggi si alternano nei libri del ciclo, incrociandosi talvolta nelle singole storie; i principali sono Leonid Gorbovskij, Rudolf Sikorski, Maja Glumova e Toivo Glumov, e infine il protagonista dell’Isola abitata, cioè Maksim Kammerer – il quale, come ci rivela Boris Strugackij nella postfazione, avrebbe dovuto chiamarsi Maksim Rostislavskij, ma per accedere all’edizione in volume gli autori dovettero attutire le caratteristiche russofone del pianeta Sarakš: questo perché come sfondo del loro romanzo gli autori hanno costruito un mondo spietato nel quale la vita si è trasformata in un inferno.
La vicenda inizia quando l’astronave che trasporta il “progressore” Maksim Kammerer precipita per un’avaria su Sarakš, un pianeta ancora inesplorato, per la precisione su un’isola abitata. Il protagonista incappa in un drappello di soldati, viene condotto al comando e interrogato con sospetto, dato che non parla alcuna lingua conosciuta. Ritrovatosi libero grazie a un incidente stradale, Kammerer conosce una cameriera che lo porta a casa con sé: è Rada Gaal, sorella di Gaj, il soldato della guardia che aveva rinvenuto Maksim e che gli si è affezionato come un fratello. Questo è l’innesco della lunga e travagliata avventura, anzi disavventura, di Maksim Kammerer, o Mak Sim come viene chiamato sul pianeta, in un mondo cupo, disgraziato, orribile, nel quale la vita vale poco più di zero, straziato da un continuo stato di guerra. Gli abitanti della nazione in cui si ritrova Mak Sim sono oppressi dal tremendo controllo dei Padri Ignoti, che riescono a instillare tramite la trasmissione di onde una fedeltà cieca e un’acritica obbedienza alla patria.
Mak Sim, il cui organismo è immune dagli effetti dell’indottrinamento, scopre l’esistenza di una vasta minoranza di popolazione a sua volta indifferente all’irradiazione – i “degenerati” – e che per questo viene perseguitata e sterminata senza pietà. È persino troppo semplice riconoscere dietro lo stato totalitario dei Padri Ignoti una metafora dell’obbedienza perinde ac cadaver imposta dal nazismo, ibridata però con l’universo concentrazionario dei gulag staliniani. Kammerer, che risulta quasi ingenuo a confronto dei bizantinismi della politica locale, si muove tra squallide caserme e città sporche e inquinate, tra zone radioattive e campi di lavoro forzato, zone popolate da mutanti provocati dall’ultima guerra atomica e immense riserve di armi di distruzione ereditate dal passato, tra la minoranza dei “degenerati” e la maggioranza integrata. Alla sua coscienza di uomo del XXII secolo, Sarakš appare come un mondo orribile, emerso da un passato bestiale che l’umanità si è lasciata da tempo alle spalle, in cui squallide esistenze meccaniche galleggiano nella precarietà di un sistema sociale infernale. Tutti sembrano nemici di tutti, anche se i fratelli Gaal rimarranno fedelmente dalla sua parte sino alla fine – segno che un riscatto esiste anche su questo pianeta da distruggere.
L’isola abitata è un libro importante e maledetto, che dimostra quale forza e quale rilevanza avesse raggiunta la fantascienza “a sviluppo autoctono” nell’Urss, dov’era contemporaneamente un genere diffuso e una metafora di resistenza al potere. Peccato che la letteratura dei fratelli Strugackij arrivi in Italia solo adesso, quando il gusto dei lettori si è già plasmato sulla science-fiction anglosassone: una traduzione ampia e fedele della loro opera negli anni Sessanta avrebbe forse determinato un panorama diverso, meno monolitico.