In questo libro la storia guida sguardo e pensieri umani lungo le coste frastagliate dei nostri poveri cervelli stanchi, e del Mediterraneo che dal Pireo al Sud Italia e al Nord Africa nelle sue acque vede estinguersi speranze e vite. Un trauma percorre i secoli e viene messo in luce sulla stessa piattaforma: tempi adesi, purtroppo, al dolore muto dei profughi di Parga e dei profughi di questi nostri decenni. Spettatori attoniti di fronte agli schermi digitali e al dipinto di Francesco Hayez: esilio ottocentesco e esilio odierno d’ogni tempo e luogo, costrizioni sull’orlo della morte – che spesso vince su resistenza e aiuti – e di confini sempre più radicalizzati dai governi. Zaini, borse, trolley odierni si mescolano ai corpi ritratti in uno slittamento dei tempi che fa tremare e commuovere: qualcuno prega, qualcuno si accascia, la folla è sulla riva su cui si affaccia Parga, la città del Pireo ormai svuotata e perduta per colpa degli inglesi e degli ottomani. Dettagli umani rasi al suolo dagli stati imperanti, mentre al largo si scorgono navi e barche. La pietas che emana l’opera di Hayez, approdata nella Grecia il 19 aprile 2021 nello spazio espositivo del parlamento ellenico dopo quasi due secoli da quel 1826 in cui il pittore iniziò a dipingerla, dovrebbe spingere via le indifferenze governative attuali e la sospensione emotiva dei tanti che passano oltre il dolore, più sradicati in petto di quanto lo siano ucraini e afghani (e molti altri, per la verità, intorno al mondo).
La “cessione” di Parga, da parte della Gran Bretagna, all’impero ottomano di Alì Pascià, avvenuta nel 1817, costringe un’intera popolazione allo stato di rifugiati nelle isole di Corfù dove negli anni successivi molti si ammaleranno in quartieri periferici e malsani. Le complicazioni politiche e mediatiche dell’epoca vedono in prima linea Ugo Foscolo, esule da qualche anno al tempo di quel che lui definì “l’affaire de Parga”: un caso internazionale, vera e propria “vendita” e scandalo umanitario che vide l’azione esasperata degli abitanti di Parga che – scrive Foscolo – dissotterrarono le ossa dei padri e le incendiarono su una catasta di legna preparata dinanzi alle chiese. Poi tutti s’imbarcarono in silenzio.
Una committenza nobiliare, bresciana, lascia libero Hayez di scegliere un soggetto di tragica attualità e di cui – spiega Arisi Rota – esiste già una “sceneggiatura” nel componimento di Giovanni Berchet dedicato all’affaire Parga e pubblicato con traduzione in prosa a Parigi nel 1823. Gli incroci tra arti poetiche, documentaristiche e pittoriche si ampliano fino a quando la vicenda del Pireo si materializza in una grande tela di due metri per tre dove la “simultaneità di tanti stati d’animo, di tanti gesti e di tanti sguardi colpiscono nel profondo i primi spettatori dell’epoca e noi che assistiamo ogni giorno allo sradicamento d’interi popoli.
Nel dipinto di Hayez la memoria si fa storia, individuale e collettiva, si trasforma di fatto in parole, quelle che l’esilio fa nascere all’insegna di estraniamento, nostalgia e infine ferimento mortale. Oggi il bollettino drammatico dei numeri di chi cambia continente annuncia ogni giorno “il dolore della guerra” a cui mai ci si abitua. Profughi, vera e propria icona fra le icone “irrinunciabili della nostra civiltà” (Massimo Cacciari), mostra in pienezza come il respingimento venga da lontano, e quanto Ottocento e Novecento e questi anni 2000 abbiano in comune: di fronte al fermoimmagine di Hayez esiste una sola domanda: “Ma Parga dov’era, dov’è? E perché la sua storia diventa così potente?”