Definita “Apocalyptic Office Novel” da un critico con la passione per le parole macedonia, Febbre, primo romanzo della scrittrice cino-americana Ling Ma, può ricordare un incrocio tra The Office e The Walking Dead. O, come suggerisce l’autrice stessa in una recente intervista, al remake de La notte dei morti viventi girato da Terrence Malick (o, forse, di Zombie, secondo episodio del franchise di George Romero, che come il finale di Febbre ambienta l’azione tra i non morti in un centro commerciale). La storia, insomma, alterna un arco di narrazione densamente introspettivo con il più classico genere “fine del mondo”, arrivati all’ultima pagina si svela però una formidabile parabola sull’identità e sulla sua evoluzione nel soggetto umano, al di là dei vincoli parentali, di genere, lavorativi che lo hanno plasmato. Giustamente, Severance (questo il titolo originale del romanzo) non è passato inosservato nelle playlist letterarie, vincendo lo scorso anno il Kirkus Prize e finendo tra le altre cose tra i New York Times Notable Book del 2018.
Candace Chen è una millennial orfana che si aggira per New York, e che della Cina dove è vissuta fino a sei anni conserva solo vaghi ricordi di parenti bizzarri e un po’ sbiaditi. I suoi genitori, immigrati tenaci e laboriosi, la portarono negli Stati Uniti nei primi anni del boom e poi decisero di restare dopo i fatti di Tien An Men. Nei flashback rivive i momenti chiave dell’infanzia, supervisionati dall’etica confucian-protestante della madre, il beato fancazzismo post laurea, i sensi di colpa attuale per i genitori, l’amore per Jonathan, il giovane che, dopo il trauma di un licenziamento, decide di incarnare l’ideale anni Sessanta del dropout, vivendo di “lavoretti” e professando un’orgogliosa autoesclusione ai margini del sistema.
La vera casa di Candace è comunque l’ufficio, il suo tempo scorre assorbito dal lavoro necessario per garantirsi la sopravvivenza, che, un pezzo alla volta, ha risucchiato la sua vita in un bozzolo emotivo. Impiegata in un service editoriale, fa da tramite tra gli editori e gli stampatori a Shenzhen pagati una miseria. Le hanno appioppato le Bibbie, un prodotto che le sue colleghe schifano ma che paga alla fine del mese le bollette a tutti grazie ai volumi colossali e alle costose e pacchianissime personalizzazioni (copertine rilegate in pelle, argento, pietre, etc.) Ma a lei va bene così. Quando esplode la “crisi”, poco dopo il flop di Occupy Wall Street, Candace se ne accorge appena mentre la misteriosa febbre dall’Oriente arriva anche a Time Square trasformando impiegati e turisti in patetici automi condannati a ripetere all’infinito i gesti acquisiti dalla routine familiare e lavorativa. Come negli anni della Grande Recessione, i colleghi spariscono uno alla volta e l’ufficio si svuota, mentre Candace documenta sul suo blog fotografico il declino e la disconnessione di una New York che diventa un deserto attraversato dagli ultimi taxisti sciroccati. A colpire senza preavviso questa volta non sono però lettere di licenziamento ma il loro equivalente batteriologico.
Al presente siamo più o meno dalle parti de La Strada, ma non ci sono bambini. Candace si è aggregata a un gruppo di sopravvissuti, guidati da Bob, un leader paranoico armato di fucile e manie religiose alla Ted Cruz. Nel frattempo la natura imprevedibile del morbo inizia a rivelare i suoi trigger, i primi sintomi si manifestano più spesso correlati alla nostalgia per l’identità precedente e all’impossibilità di immaginare un futuro diverso dal condizionamento ricevuto. Candace Chen, una giovane donna incinta senza una hometown e senza radici, sembra apparentemente immune. E potrebbe anche farcela.