Da anni la casa editrice di Fidenza è impegnata nella ricerca di autori di talento, specialmente americani, che non sono stati mai tradotti in Italia. Le sorprese che ci ha riservato sono diverse e spesso notevoli: a partire da Andre Dubus, diventato anche in Italia autore di culto per chi ama i racconti, passando per Charles Baxter, John Smolens e Gina Berriault, tutti scrittori e scrittrici recensiti su queste pagine.
Questa volta parliamo di Anzia Yezierska, un’autrice nata in Polonia tra il 1880 e il 1885 e immigrata negli Stati Uniti nei primi anni del decennio successivo con la famiglia. L’America in quegli anni rappresentava il sogno economico e di riscatto sociale per molti popoli dell’est europeo e non solo. Questa antologia racchiude dieci racconti in cui l’autrice pone l’attenzione sulla vita degli immigrati ebrei dei primi anni del Novecento, come in molte altre sue opere. Chiamati greenhorn, e cioè babbei, esiliati nel Lower Eastside, il ghetto di Manhattan, se per gli uomini non era affatto facile integrarsi e trovare un lavoro, per le donne era anche più complicato. La loro condizione di inferiorità cominciava dall’interno delle famiglie, schiacciate dall’ebraismo più ortodosso e dal patriarcato. Umiliate e povere, disilluse dalle aspettative che avevano riposto nel Mondo Nuovo, la fame delle protagoniste non è solo di cibo, ma soprattutto di amore, di libertà, di istruzione, di un lavoro dignitoso, di una vita che valesse la pena di essere vissuta senza l’assillo della ricerca quotidiana per la sopravvivenza. E quando cercavano un aiuto economico presso i loro compatrioti o uomini della loro stessa religione, si trovavano davanti a persone che avevano come unico scopo fare soldi sfruttando le persone più bisognose, strozzini o affaristi senza scrupoli.
Sono madri, mogli, figlie e sorelle le protagoniste dei racconti di Anzia Yezierska, mortificate da tutti, anche dalle organizzazioni caritatevoli che non vanno mai oltre un aiuto provvisorio che gratifica soltanto chi lo elargisce, solo un gesto per mettere a posto le proprie coscienze. Nonostante vivano in abitazioni fatiscenti o camere d’affitto squallide sotto il limite della decenza, sono donne forti che lasciano aperte le porte della speranza anche quando non si intravede più alcuna luce in fondo al tunnel. Il sacrifico, la forza d’animo, la fedeltà a se stesse, la voglia di integrazione sono il loro credo, ma nessuna di loro rinnega o dimentica le proprie origini che sono sempre il punto di partenza per tentare di riscattarsi. E se il sogno americano per molte rimarrà tale, l’importante è aver lottato, essersi spese completamente per percorrere tutte le strade possibili per raggiungere una personale emancipazione.
Lo stile, sobrio e diretto, parliamo di un costante flusso di coscienza, non è certo una novità stilistica, ma è probabilmente la scelta più felice per esprimere con compiutezza le vicende e i drammi interiori delle protagoniste.