Antonin Artaud / Artaud messicano

Antonin Artaud, Messaggi rivoluzionari, cura Marcello Gallucci, Jaca Book, pp. 300, euro 20,00 stampa, euro 13,99 epub

Nel 1936 Antonin Artaud, preso da quella stessa febbre che sessant’anni prima aveva volto Arthur Rimbaud verso l’Africa e cinque anni prima Henri Michaux verso l’Asia, lascia tutto e parte alla volta del Messico. Per – come scrisse – “fuggire la barbarie europea” e alla ricerca di indigeni “primitivi”: i Tarahumara, eredi diretti della perduta Atlantide. Non si tratta del talvolta facile esotismo surrealista, né di semplice sete d’avventura o d’esperienza, piuttosto di una prospettiva reale su una concreta apertura al sacro, un sacro non mistico ma corporizzato e addirittura fisiologizzato attraverso la fruizione allucinogena della pianta magica, il peyote, e la metafisica del gesto e del movimento, nell’esercizio trasformativo del rito. Lo scrittore/attore ha appena finito di tracciare i percorsi del suo “Teatro della crudeltà” – teorizzato ne Il teatro e il suo doppio e portato senza fortuna sulle scene con I Cenci in cui non si persegue la rappresentazione, ma il rituale in “rapporto magico e atroce con la realtà e con il pericolo”. Ispirato dal teatro-danza balinese e dalla frequentazione di René Daumal che gli ha presentato Alexandre de Salzmann attraverso cui ha scoperto le danze sacre, i movimenti, del comune maestro di entrambi, il mistagogo caucasico Georges Gurdjieff, Artaud ha pensato di trovare la verità a occidente, presso la Razza Rossa, discendente degli Atlantidi, leggendo vecchi teosofi come Schuré e Fabre d’Olivet ma soprattutto il contemporaneo René Guénon.

Questi tortuosi e affascinanti itinerari vengono esplorati dettagliatamente da Marcello Gallucci, docente di Storia dello Spettacolo nelle Accademie di Belle Arti, nel ricco apparato critico che introduce e commenta – utilizzando anche una nutrita serie di lettere scambiate dal poeta con corrispondenti in patria e nei luoghi del suo viaggio – l’ultima edizione di Messaggi rivoluzionari, la raccolta dei testi messicani di Artaud che Gallucci ha curato e più volte portato alle stampe fino a questa più completa e definitiva versione. I testi recuperati nelle originali stesure in francese o, se perdute, nelle traduzioni spagnole pubblicate in Messico, comprendono tutti gli scritti, articoli, conferenze, saggi brevi – alcuni dei quali fondamentali per importanza – non compresi nella più nota silloge Al paese dei Tarahumara, edita da Adelphi. In questo che è certamente il più approfondito compendio dell’esperienza messicana di Artaud, il lettore potrà trovare indicazioni preziose per la comprensione della poetica e dell’ideologia artaudiane in senso generale e non solo riguardo alla questione esoterica e psichedelica o alla cultura etnica e all’estetica “primitiva”. Per esempio in Surrealismo e rivoluzione, dove il surrealismo è definito “un’interiore insurrezione contro tutte le forme del Padre”, contro la “coercizione del Padre” e Artaud giustifica la sua frattura col movimento per il fatto di non aver sopportato un surrealismo abbassato al marxismo ma voluto un marxismo elevato al surrealismo: perché la cultura razionalista dell’Europa ha fallito e “io sono venuto sulla terra messicana per cercare le basi di una cultura magica che possa ancora far sgorgare delle forze dal suolo indio”. Oppure in Primo contatto con la Rivoluzione messicana, in cui teorizza una rivoluzione indigena – alternativa a quella marxista che ha erroneamente conservato il senso della coscienza individuale – “per riconquistare l’anima indigena così com’era prima di Cortès”. È interessante constatare come le idee tradizionaliste e l’“esoterismo” di Guénon o di Daumal sotto l’influenza di Gurdjieff, abbiano spostato il ribellismo anarchico dell’Artaud ex-surrealista verso una rivoluzione-rivelazione che intende “resuscitare la vecchia idea sacra, la grande idea del panteismo pagano sotto una forma che non sarà più religiosa, questa volta, ma scientifica. Il vero panteismo non è un sistema filosofico, è solo un mezzo di investigazione dinamica dell’universo” (da Ciò che sono venuto a fare in Messico), o favorire la resurrezione degli antichi simboli di “uno spirito che, dal mio punto di vista di poeta, chiamerò magico; spirito che, considerato da un punto di vista strettamente scientifico, può diventare la manifestazione di una vera energia psicologica” (da La cultura eterna del Messico). Se il tradizionalismo integrale del guenonismo conduce alcuni verso il fascismo e il nazismo, la volksgemeinschaft ariana – il caso italiano del “razzista spirituale” Julius Evola è emblematico – porta invece altri verso ben diversi esiti: la rivoluzione etnica, india, prospettata da Artaud ad esempio, che così descrive la situazione europea dell’anteguerra al suo uditorio messicano (da Le forze occulte del Messico): “La Spagna è in fiamme, l’incendio dell’Etiopia si è appena estinto. Sopra il suolo dell’immensa Cina, la guerra minaccia di scoppiare di nuovo a ogni istante; la Germania e l’Italia sono preda di un ordine singolare, che non è che l’organizzazione legalizzata di un disordine. E questo ordine, a sua volta, minaccia l’ordine e la pace dei suoi vicini, cioè l’ordine e la pace dell’Europa intera. Quanto alla Francia, si può dire che si trova virtualmente in stato di rivoluzione” ma “L’anima messicana non ha mai perduto al suo fondo il contatto con la terra, con le forze telluriche del suolo”.

In Il rito dei re dell’Atlantide Artaud descrive in termini estatici un rituale visto nella Sierra Tarahumara che per lui corrisponde letteralmente a quello descritto da Platone nel Crizia e attribuito agli Atlantidi, il sacrificio del toro, e più avanti il tema del sacrificio viene ripreso in La corrida e i sacrifici umani dove si fa candidamente affermare a un giovane e compìto interlocutore messicano: “tra l’inutile barbarie delle corride degli spagnoli e l’alta e raffinata magia dei sacrifici umani degli Aztechi, quale rivela un più alto grado di civiltà, quale, alla fine dei conti, si chiude col beneficio di un atto utile?”

Al ritorno dal Messico, durante la permanenza in Irlanda nel 1937, Artaud ha una crisi psicotica grave, sostiene di essere San Patrizio, viene internato: la vittima del sacrificio diventa ora lui stesso,  nel calvario della reclusione forzata in manicomio e della tortura dell’elettroshock: ridotto a 55 chili di peso, solo otto denti rimasti in bocca, una diagnosi che lo qualifica nevrastenico, sifilitico, psicotico, tossicomane, bipolare; da parte sua risponderà: “non avete altra superiorità che la forza”.