Antonella Sbuelz / Le ombre del colonialismo italiano

Antonella Sbuelz, Mariam, Vallecchi, pp. 464, euro 20,00 stampa, euro 9,99 epub

Ci sono autori che riescono a trascinarti immediatamente dentro alla narrazione e non ti fanno più uscire fino all’ultima pagina. Arrivare alla fine, capire come si dipanerà la storia diventa l’obbiettivo del lettore. E se la penna che scrive possiede uno stile fluido, se non fa pesare la sua bravura e la mostra senza alcun tentativo di artificiosità significa che ci troviamo di fronte a un gran bel romanzo. Non conoscevo Antonella Sbuelz, nonostante abbia scritto otto romanzi e abbia vinto diversi premi ed è stata una vera sorpresa. Udinese, con un dottorato di Letteratura Moderna presso l’Università di Losanna, ha fatto anche un profondo lavoro di ricerca, che descrive a fine volume, per raccontarci della Libia durante l’occupazione italiana – fascista – dal 1934 al 1945 con una rapida incursione finale ai giorni d’oggi.

Mariam è una ragazza di diciassette anni, figlia di un italiano scomparso prematuramente e una donna ebrea libica. Quando viene chiesta in sposa da Livio, vedovo ancora giovane con due figli, il suo tutore – lo zio che ha un carattere opposto a quello gentile del fratello morto – accetta senza esitazioni. La famiglia è indigente come la maggior parte della popolazione, e sposare un ingegnere italiano che costruisce strade, ammaliato dalla sua bellezza, sembra un colpo di fortuna. Non a Mariam però. E da qui parte una saga familiare che ci porterà a conoscere le efferatezze del colonialismo italiano che toccherà il suo vertice dopo l’entrata in guerra: le prevaricazioni sulle donne, le ritorsioni e la violenza contro gli ebrei, l’uso della forza contro il dissenso, l’instaurazione della legge del più forte sembrano essere le basi di una nuova realtà.

Sbuelz ci accompagna nella storia seguendo le gesta di Samuel, fratello di Mariam, di Esther, la madre, di Livio e di altri personaggi con delicatezza, quasi sussurrando. E la vita di Mariam, pur difficile, non sarà tragica come si potrebbe immaginare all’inizio. Non c’è traccia di giudizio e di morale nelle sue parole, lascia libero il lettore, se volesse, di trarre le proprie riflessioni dandogli tutti gli strumenti necessari per comprendere un momento storico tragico di cui forse non si è parlato abbastanza. Mariam è un romanzo-documento di cui abbiamo bisogno: immaginazione e ricerca storica sono miscelati sapientemente, fondamentali per il sopravvivere della memoria anche quando tutti i testimoni saranno scomparsi, per non dimenticare che non esiste alcun potere buono. La buona letteratura serve anche a questo.