La rubrica Paragrafi di autore ospita il portoghese José Saramago. La scrittrice Antonella Ossorio così descrive il rapporto con la sua scrittura: “Di Saramago ho letto e amato tutto; ogni singola frase scritta da lui è non soltanto una lezione di arte del narrare, ma anche di etica, di laica religiosità, di empatia: insomma, di vita. Il paragrafo che ho scelto è quello conclusivo del libro che me l’ha fatto conoscere; una storia che in qualche modo mi ha cambiata e che, a distanza di oltre trent’anni, a ogni rilettura non cessa di fornirmi nuovi spunti di riflessione (né di spezzarmi il cuore).”
Il brano scelto è tratto da José Saramago, Memoriale del convento, Feltrinelli, tr. di Rita Desti e Carmen M. Radulet.
“Lo trovò. Sei volte era passata per Lisbona, questa era la settima. Veniva da sud, dalle parti di Pegões. Attraversò il fiume, quasi notte, con l’ultima barca che approfittava della marea. Non mangiava da quasi ventiquattro ore. Aveva un po’ di cibo nella bisaccia, ma ogni volta che stava per portarlo alla bocca, sembrava che sulla sua mano si posasse un’altra mano, e dicesse, Non mangiare, che il momento è arrivato. Sotto le acque scure del fiume vedeva passare i pesci a grande profondità, sciami di cristallo e argento, lunghi dorsi squamosi o lisci. La luce interna delle case s’insinuava attraverso le pareti, diffusa come un faro nella nebbia. Imboccò la Rua Nova dos Ferros, girò a destra alla chiesa di Nossa Senhora da Oliveira, in direzione del Rossio, ripeteva un itinerario di ventotto anni prima. Camminava in mezzo a fantasmi, a ombre che erano persone. Tra i mille odori fetidi della città, la brezza notturna le portò quello della carne bruciata. C’era folla a S. Domingos, torce, fumo nero, fuochi. Si fece strada, arrivò alle file davanti, Chi sono, chiese a una donna che aveva un bambino in braccio, Di tre lo so, quello dietro e quella sono padre e figlia che sono venuti qui per colpe di giudaismo, e l’altro, quello all’estremità, è uno che faceva commedie per il teatro dei fantocci e si chiamava Antonio José da Silva, degli altri non ho mai sentito parlare.
Sono undici i giustiziati. Il rogo è già molto avanti, le facce si distinguono appena. A quell’estremità brucia un uomo cui manca la mano sinistra. Forse perché ha la barba annerita, prodigio cosmetico della fuliggine, sembra più giovane. E una nuvola chiusa sta al centro del suo corpo. Allora Blimunda disse, Vieni. Si distaccò la volontà di Baltasar Sette-Soli, ma non salì alle stelle, se alla terra apparteneva e a Blimunda.”
Di seguito, riporto un estratto dal primo punto della nota all’edizione italiana, redatta da Rita Desti, che è anche una delle traduttrici del romanzo. Poche righe di una lunga e accurata analisi, sufficienti a contestualizzare temporalmente l’opera e a indicarne parte del senso.
“La costruzione del convento. La Storia e la storia. Romanzo storico nelle intenzioni e nell’impianto documentario, il Memorial do convento, del portoghese José Saramago pubblicato a Lisbona nel 1982 e subito salutato da un notevole successo di pubblico e di critica, racconta la costruzione del convento o meglio, del reale edificio di Mafra, comprensivo di palazzo, convento e basilica, ad opera del re Giovanni V di Portogallo fra il 1713 e il 1730, anno in cui avvenne, con un grandioso e sontuoso cerimoniale, la consacrazione della basilica. (…)
Il Memoriale è tuttavia opera di un narratore moderno, convinto dell’assioma che lo storico deve modificare la storia, pur rivelando in ogni tessera del proprio mosaico una sua rigorosa documentazione. Deve modificarla, poeticamente, così come il poeta modifica con la sua parola il flusso potenziale della lingua, riempendo di significato attuale i nomi-personaggi che la storia ci ha tramandato. La sua sarà così una storia che è insieme Storia e storia, con S maiuscola e s minuscola: raccontata cioè non solo dal punto di vista dei grandi che ordinarono e pagarono l’impresa, ma anche da quello dei piccoli, di quella “arraia-meùda” chiamata alla ribalta della cronaca già nel Quattrocento di Fernão Lopes. Gente che la Storia l’ha fatta con le sue mani, portando a spalla i grandi massi necessari alla fabbrica da cui spesso vedeva trasformata a forza la sua stessa vita”.
Antonella Ossorio è nata a Napoli, dove vive e lavora. È autrice di testi per bambini, ragazzi e adulti editi da Einaudi, Rizzoli, Giunti, Electa e altri. Per Emme Edizioni, ha tradotto dal francese alcuni racconti per bambini di Bayard Editions. Il suo romanzo Se entri nel cerchio sei libero (Rizzoli) scritto con Adama Zoungrana, nel 2010 è stato inserito nel White Ravens, catalogo stilato dalla Internationale Jugendbibliothek di Monaco di Baviera che ogni anno seleziona i migliori 250 libri per ragazzi pubblicati nel mondo. Nel maggio 2014 è uscito il suo romanzo La mammana (Einaudi, i Coralli – Premio Società Lucchese dei Lettori 2015). Nel 2018 Neri Pozza ha pubblicato il romanzo, La cura dell’acqua salata.