Una maledetta, orrifica e oscura energia percorre le oltre quattrocento pagine del romanzo di Antonella Lattanzi. Le leggiamo come se una brava scrittrice si potesse compiacere di un incubo? Direi di no. Il libro è un noir? Forse. È un giallo tradizionale? Non credo. L’angoscia la fa da padrona. Decisamente più vicina a Stephen King che allo Sherlock Holmes di Conan Doyle, l’autrice usa un registro narrativo molto simile all’horror per parlare di noi, della nostra vita, delle nostre debolezze. Mette a nudo le illusioni borghesi più comuni. In alcuni frangenti, sembra offrire ai suoi personaggi un rifugio di tenerezza. Apre il mondo a insospettabili possibilità e poi lo richiude con violenza.
Ci racconta della vita. La vita di tutti e dichiara esplicitamente che vivere è camminare controvento. Lo sapevamo. Ma dubitavamo che si potesse arrivare a certi punti estremi. Quello che oggi molti di noi sono portati a sottovalutare è il fatto che viviamo insieme ad altri. Oramai ci hanno costretto a un individualismo così forte e ottuso che non ci rendiamo ben conto che con altri condividiamo momenti importanti della nostra vita. Una vita che è comunità, sia nel caso si metta su famiglia che si scelga un condominio dove andare ad abitare.
Ma la comunità ha le sue regole. Può essere una comunità inclusiva e aperta oppure può essere escludente: la somma di tante irrisolte paure individuali. Nel secondo caso la comunità e il suo bisogno difensivo di conformismo possono diventare un killer. L’idea è chiara, il messaggio che ne consegue pure: chi è infelice ti divora. Ma i protagonisti della storia fanno di tutto per essere felici. Una giovane, agiata, colta famiglia si trasferisce da Milano a Roma perché il padre ha avuto una bella opportunità di lavoro che lo porterà sicuramente lontano nella carriera. Insieme a lui una giovane e attraente moglie lavora come illustratrice per una casa editrice di libri per l’infanzia e le due figlie Angela e Emma, quest’ultima dinamicissima bambina più piccola, soprannominata Psyco.
Per la famiglia sembra che il futuro felice si stia progressivamente realizzando. La casa è bella. Lontano dal caos cittadino, in un comprensorio immerso nel verde e protetto da portineria e cancello rosso fiammante. La mamma, Francesca, accetta di buon grado di fare un passo indietro per occuparsi delle due figlie e sostenere la nuova impresa del marito. È sicura che, più tardi, arriverà anche il suo momento. Proprio Francesca sarà protagonista importante in tutta la vicenda. È l’essere umano più vivo, più sensibile, più tormentato e forse anche più intelligente tra quelli che conosciamo. Ma intorno a lei altri protagonisti ruberanno la scena. La casa, innanzitutto, che parla alla mente di Francesca e sistematicamente la guida e consiglia, soprattutto nei momenti più difficili. Ma non sempre è ascoltata.
Lattanzi ci mette di fronte al dolore: forte, irrimediabile, profondo fino all’autolesionismo e alla follia. Ci parla della paura, formidabile collante di una comunità abituata a sentirsi immune da ogni pericolo. Infine apre una finestra sul desiderio: un sentimento forte, a tratti inarrestabile, che rappresenta l’unico momento di speranza e di liberazione. Un desiderio che vediamo partire da dentro, dalle vene di una giovane donna che teme di non avere vie d’uscita in una situazione claustrofobica e pesantissima. Un desiderio raccontato con righe intense, non castigate, tanto lievi e morbide come solo una donna, Antonella Lattanzi scrittrice, può fare.
Fatalmente non si sfugge al tema della colpa, a cui è riservata parte del romanzo: una vera e propria malattia latente che in certi frangenti non può essere tenuta a bada e che per questo assume i contorni di un veleno letale. In una grande storia in cui la famiglia e la normalità, il conformismo e il bisogno di libertà fungono da scenografia di una commedia horror, la protagonista principale è la mente. Ne seguiamo le peripezie nei dialoghi di Francesca (in corsivo) con la casa. Nel tentativo di governare gli istinti più caldi – dall’erotismo all’odio e alla perdita di controllo nei confronti di figlie e marito – troviamo il senso profondo di un percorso che solo in parte è cronaca. E che si presenta come un viaggio nelle nostre malcelate paure.