Le meditazioni che popolano l’esperienza di Antonella Anedda viaggiano lungo sentieri sì terrestri, ma con molte premesse che fanno giungere dopo un po’ alle soglie della volta stellata. Attraverso gli ampi vetri di luoghi chiusi le idee si corroborano dei passi già avvenuti, sui sentieri fitti di pioppi e corvi, sulle spiagge e le rocce della natia Sardegna. Di fortezze sparse per il mondo, reali e immaginarie, è colmo lo sguardo, e di luoghi accumulati nel pensiero con migliaia di reperti. Anedda poi s’interroga secondo una regola di modestia ininterrotta, vedendo come nel proprio limite trovano posto i poeti che ci hanno scosso e condotto lungo tutta una vita. La sua si volge continuamente al carattere, alla fisicità privata e al mondo intorno, come se tutte le energie, tutte le immense forze psichiche e naturali parlassero concentrandosi in una unica impresa. Senza tradire, evitando quelle anse contrarie e aspettando sempre che l’acqua (del tempo, della coscienza) riempia gli impedimenti per poi ripartire.
Geografie sfiora in lungo e in largo gli episodi di un periodo, le bellezze e le ansie, le saluti e le malattie, dalla grande carità filiale alle morti allineate ovunque negli ospedali e nelle strade: Anedda, cittadina del nostro mondo, si fa attraversare da tutti i modi, salubri e funesti, che la terra ci riserva, e per ogni cosa il pensiero si fa primario. Anedda possiede il respiro orientale donatole da certi viaggi, il sonno e il riposo non sono stranieri nella sua esistenza di scrittrice. Sente la chimica dei corpi scuotere continuamente, catalizzatrice della resistenza a cui si deve il restare in vita. Per impedire l’infeltrimento dei pensieri osserva ciò che si spezza, che ritorna alla terra: preservando tutti i nomi e dandosi piacere con le descrizioni geografiche. Uccello migratore e, a tratti, stanziale, Anedda riesce a tenere gli occhi aperti lasciando perdere il fantastico e affermandosi nei luoghi dove i boschi sono macchie estese di verde a cui manca spesso la gratitudine, nonostante essi permettano respiro alle creature viventi. Barlumi fissi di ciò che diventa memoria di una specie.
I giorni da lei trascorsi hanno la stessa linea di pensiero poetico, salgono dal libro verso i nostri sensi facendo sì che riconoscere e riconoscersi sia un abito perfettamente cucito a adeso alla realtà. Il passato e il presente s’incrociano nella cronaca di pandemie secolari – poche opere riescono come questa a consegnare un sentimento del tempo capace di contenere strade e quartieri, pianure e montagne dove l’umano ancora c’è e resiste.
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Fino ai muri dell’arte, alle pareti dove presente e passato spolverano una cosmogonia di forme e gesti, di vitalità immaginate, e che il libro di Tomaso Montanari agilmente mescola alla nostra vita. La conoscenza si spande settimana dopo settimana, segue un’educazione mai dispersa e condizionata, per piazze e chiese di questa geografia oculare. Nessuna sacralità che impedisca all’Antea di Parmigianino (puttana o sposina) di scendere fra noi a fissarci per sempre mentre dietro l’angolo, in una Venezia pre-lockdown, Banksy ci mostra un video con artista di strada e passanti. Con, soprattutto, nove tele componenti l’immagine di una nave mostruosa di fronte San Marco.
Pagina dopo pagina Montanari allestisce la sua topografia artistica (dopo il primo volume: Ora d’arte, 2019), facendo parlare monumenti e tele, luoghi aperti e chiusi, sfruttati o governati, in odio alla mercificazione e ai razzismi culturali. Non stupisca questo quaderno di viaggio dopo i grandi studi su Bernini e Velasquez, la difesa (e la lotta) per l’arte passa attraverso i taccuini e i diari che diventano presto custodi della diffusione, e carezze per una scuola che si vorrebbe amata come amati i frequentatori. La verità di quanto La seconda ora d’arte trasmette passa per piazze devastate non solo dai terremoti, e pur bellissime, o monumenti impressionisti come quello dell’Orangerie a Parigi. Monet è un cuore dell’arte, e Montanari sa come modificarci in spettatori consci e pronti a ulteriori avventure.
Come far pace con le città, si chiede lo studioso d’arte, partendo dalla propria, la Firenze in tempo di pandemia, la più prossima all’anima, dove tutti i tempi sono contemporanei (Carlo Levi) come in nessun altro luogo del pianeta. Vero è che quartieri, pietre e angoli d’Italia contengono in sé tutti gli uomini e tutti gli dèi avvicendati nel corso dei secoli. Così i dialoghi non si spengono, e nuovi ne sorgono fra allievi e veterani, fra antiche mura e sculture moderne come la Caterina da Siena di Francesco Messina tuttora controvento in Roma. Guardando le riproduzioni contenute nel volume ci giunge la saggezza dei dettagli, e la visione delle opere snoda, espande, quanto pubblicamente l’irriducibile Montanari pone al giusto posto davanti agli occhi di tutti nei mesi bui della quarantena.