Il Premio Nobel per la Letteratura è andato quest’anno – forse un po’ a sorpresa, per quanto alcuni avessero evocato il suo nome – alla scrittrice francese Annie Ernaux (1940), “per il coraggio e l’acume clinico con cui ha svelato le radici, le rimozioni e i limiti collettivi della memoria personale” e per il “desiderio di sconvolgere le gerarchie letterarie e sociali, scrivendo allo stesso modo di oggetti considerati indegni della lingua letteraria, come i supermercati, i treni suburbani, e gli altri più nobili come i meccanismi della memoria, la sensazione del tempo” [Wired].
Divenuta popolare in Italia a partire dal 2014 con il romanzo Il posto (2014; Le Place, 1983) grazie al prezioso lavoro della coraggiosa casa editrice indipendente L’Orma e al lavoro traduttivo di Lorenzo Flabbi, Ernaux mette al centro della sua narrativa l’autobiografia e il memoir, mescolando destini individuali e Storia collettiva.
Nella sua scrittura gli eventi personali divengono punti di aggancio di una narrazione che si fa Storia grazie ad uno sguardo critico talvolta implacabile e ad uno stile quasi privo di dialoghi che mette sia le sue protagoniste e sia lettori e lettrici dinanzi a forme radicali e disarmanti di critica sociale.
Con una vicenda autobiografica che abbraccia un lungo arco di tempo, in La donna gelata (2021; La Femme gelée, 1981) Ernaux racconta veri passaggi di stato dall’essere state giovani donne infuocate al divenire donne gelate, soffermandosi sull’intera gamma di emozioni e frustrazioni di vite in cui aspirazioni e desideri sono stati traditi dall’adesione a rappresentazioni cristallizzate o stantie del matrimonio e, più in generale, delle relazioni con gli uomini. D’altro canto, nel racconto focalizzato sul 1958 di Memoria di ragazza (2017; Mémoire de fille, 2016), l’autrice francese si sofferma sulla prima esperienza di una ragazza diciottenne lontano dalla provincia di origine, in un percorso di formazione non privo di traumi nell’apertura di un mondo che le spalanca le prime esperienze sessuali e, insieme, la sottolineatura negativa della sua origine rurale.
Si ritrovano qui gli stessi topos de Gli anni (2015; Les Années 2008) fortunato romanzo che ha avuto un’ampia circolazione anche in Italia, che assume i connotati di un vero affresco di Storia europea con i riferimenti puntuali – letti sotto la lente della vicenda personale – alle persistenze del colonialismo, alle stagioni delle lotte (il ‘68), ai fenomeni di emancipazione come a quelli di mercificazione fino alle vicende recentissime come l’11 settembre. Così come L’evento (2019; L’Événement, 2000) è l’occasione narrativa per una forte rivendicazione del diritto all’aborto attraverso le fatiche emotive e fisiche di accedervi, clandestinamente, nella Francia del 1963.
Del resto, all’annuncio del premio, nella sede del suo editore francese Gallimard, Ernaux ha dichiarato che lotterà “fino al mio ultimo respiro affinché le donne possano scegliere se essere madri o meno: la contraccezione e il diritto all’aborto sono un diritto fondamentale, la matrice della libertà delle donne”, non mancando di sottolineare come questo diritto politico cruciale sia oggi messo in discussione dal dilagare di una nuova cultura reazionaria, dagli Stati Uniti di Trump all’Italia di Meloni.
Inutile negare che questo Nobel premia una scrittura apertamente femminista e immersa nel milieu delle classi sociali popolari.
E dunque vale forse la pena sottolineare che con la scelta di Enraux, per l’ottava volta in diciotto anni – marcando una svolta nelle preferenze di genere che avevano invece caratterizzato i cento anni precedenti –, l’Accademia di Svezia ha premiato ancora una donna, dopo Elfriede Jelinek (2004), Doris Lessing (2007), Herta Müller (2009), Alice Munro (2013), Svjatlana Aleksievič (2015), Olga Tokarczuk (2018) e Louise Glück (2020). Non si tratta certamente di un mero riequilibrio numerico, bensì il riconoscimento, nella scrittura di queste donne, della singolare capacità di tessere trame complesse e profonde che tengono insieme Storia, critica sociale e conflitti, illuminando spesso drammaticamente relazioni al confine tra disfacimenti e ricomposizioni, con un occhio sempre vigile sulle lotte per forme irrequiete di liberazione.
In una significativa intervista alla rivista francese Les Inrockuptiobles, Ernaux rivendica la sua partecipazione in prima persona ad alcuni dei movimenti sociali francesi più significativi degli ultimi anni, sottolineando il fatto che la sua sia una scrittura che si mette in ascolto, che registra e, nella riformulazione narrativa, presta la voce alle storie dei molti e soprattutto delle molte. Non una mera testimonianza, dunque, ma un lavoro di re/immaginazione: la costruzione di una memoria femminista e di classe del futuro.