Da quando è adolescente, Annie Ernaux – ottantatreenne scrittrice francese, vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 2022 –, seppur in maniera discontinua, ha sempre tenuto un diario; di questo, all’inizio del 2000 ha riletto i quaderni scritti tra il settembre del 1988 e l’aprile del 1990, periodo in cui ebbe una relazione con un diplomatico sovietico, nominato “S.”, conosciuto in Russia durante un viaggio di lavoro ma, poi, di stanza a Parigi, la sua città.
Questa tormentata storia con S. era stata raccontata nel romanzo Passione semplice, edito in Francia per Gallimard nel 1992 ma, a seguito della rilettura del diario, la scrittrice si rende conto che quelle pagine contengono una realtà diversa da quella del romanzo, qualcosa di più crudo e oscuro, senza salvezza, che decide coraggiosamente di svelare in Perdersi (2001, prima edizione Gallimard), non tanto per rievocare qualcosa che si è dimenticato, ma per ridare una maggiore fedeltà alla propria storia.
Ernaux ha vissuto per quasi due anni quella che oggi chiameremmo una “relazione tossica” o un “amore malato”, ammesso e non concesso sia lecito accostare queste parole, benché la scrittrice non s’esprima mai in questi termini. Con S. – sposato, più giovane di lei di parecchi anni, biondo, probabilmente bello, di certo misterioso, che lei stessa descrive come un po’ villano, arrivista, narcisista, misogino e con un debole per i “macchinoni” – gli incontri si susseguono in clandestinità, risucchiando Annie in un vortice di passione e di erotismo che la tiene distante dal mondo esterno e in qualche modo anche da sé stessa: “Per un intero anno sono stata una comparsa nella mia stessa vita”.
Se lo scopo di questo libro è raccontare il lato oscuro di una relazione amorosa, affrontando soprattutto il tema della dipendenza affettiva, l’autrice ci riesce benissimo: le quasi duecentocinquanta pagine che non nascono per essere pubblicate (lo testimoniano anche le frequenti reiterazioni e la prosa molto semplice e diretta) hanno il pregio d’essere senza filtri e descrivono, senza dare tregua a chi legge, le emozioni di Annie: un susseguirsi di attese spasmodiche per telefonate che, si spera, annuncino il prossimo incontro con l’amante, di esplosioni di desiderio che consuma, di aspettative deluse, di ossessione per il corpo di lui, di enorme sofferenza per la sua assenza e per i suoi silenzi, per trovare pace, ma molto brevemente, nella condivisione di amplessi molteplici; questi, sì, felici e in alcuni casi spudoratamente descritti. E poi ancora, presentimenti di essere lasciata, visioni di tradimenti e racconti di sogni, tanti, che la scrittrice probabilmente si sforza d’interpretare per cercar di capire come sia stato possibile rimanere invischiata, alla soglia dei cinquant’anni, in una storia che l’ha trascinata a comportarsi come probabilmente non dovrebbe accadere a una donna di cultura, emancipata, attenta alla condizione femminile: “ho accettato l’assoluto “diritto del padrone” (viene quando vuole, telefono idem)”.
In questi anni attraversati da movimenti come il #MeToo, scanditi da discorsi e letture che cercano di porre una diversa attenzione sulla questione femminile e allontanare tutti noi da una mentalità di stampo patriarcale che si manifesta, tra le altre cose, anche in atteggiamenti di passività e condiscendenza da parte delle donne, leggere una storia in cui “La vita si ferma nel momento in cui lui suonerà il campanello” è un po’ straniante e doloroso perché in un rapporto come quello descritto in Perdersi, difficilmente si può trovare la felicità; non a caso, tutto il libro è attraversato da un continuo parallelismo tra passione, lutto e scrittura: se tante sono le frasi legate alla sofferenza per la morte della madre, all’aborto che ha affrontato la scrittrice in gioventù e ad altre difficili relazioni sentimentali, altrettante sono quelle dedicate alla necessità di scrivere, all’amore per la letteratura che, in queste pagine, mostra la natura umana per com’è e non per come dovrebbe essere: “Non ho mai desiderato nient’altro che l’amore. E la letteratura”.