Anni di poesia. Recensioni e interventi 1985-2019 (Puntoacapo 2020) raccoglie le recensioni e gli scritti critici di oltre un trentennio di poesia, non solo italiana. Sfogliando la bibliografia annuale balza subito all’occhio una differenza: ci sono anni in cui appaiono numerose recensioni, e anni in cui invece ce ne sono pochissime. In generale, è possibile affermare che le pubblicazioni poetiche sono cresciute di numero nel tempo e che, complici anche i social, le case editrici a pagamento, le autopubblicazioni, siano sempre di più i libri di poesia dati alle stampe?
Che le pubblicazioni di poesia, o di cosiddetta tale, siano cresciute in modo esponenziale negli ultimi anni, è un fatto accertato. Editori di tutti i tipi accolgono nei loro cataloghi, programmi atti a gestire i propri scritti ne esistono a iosa, e i social sono terreno fertilissimo per proclamare (e autoproclamarsi) ogni genere di lavoro, compresi capolavori inesistenti. Tutto questo però non c’entra con il carattere diciamo così “occasionale” delle mie recensioni, che segue un andamento ondivago. Ciò è dovuto a caso, volontà, alla presenza editoriale di poeti seguiti da tempo, a riviste più o meno accoglienti, e soprattutto all’assoluta mancanza da parte mia di un progetto critico esaustivo e onnicomprensivo. Non sono uno storico, come ho già detto e scritto, non temo d’inseguire simpatie e non temo i buchi di bilancio. Noto anch’io, però, una presenza maggiore negli ultimi anni.
In qualità di critico, può definire quale dovrebbe essere il fine di una recensione e quali sono le caratteristiche che la rendono valida? In quanto lettore di poesia, quali tipi di recensione apprezza?
Sembra banale dirlo, ma una recensione dovrebbe indurre una certa agitazione nel lettore, e non stuzzicargli timidezza, tanto da pensare di prendersi quel tale libro e vedere come agisce sulla sua sensibilità. Non inseguire troppo la fiducia del recensore, che spesso negli ultimi tempi parla (e straparla) più di sé che del libro e della sua poetica. Ammesso che ci sia, naturalmente. Non dimentichiamo poi che recensire non è criticare. Manganelli, da par suo, notava che non guasterebbe una certa moralità del recensire, e che al recensore si dovrebbe chiedere un po’ di audacia, non sintesi critica. Cose di cui pentirsi, e generosità. Credo (e spero) che alla fine Anni di poesia cose di questo genere ne contenga parecchie. Almeno tante da indurre un certo divertimento.
Nel Suo saggio il nome di poeti noti e meno conosciuti compare insieme: qual è il criterio di scelta al quale si affida quando decide di scrivere di un libro?
L’unico criterio di scelta è l’agitazione che mi provoca un libro, non importa se di autore noto, ignoto o poco conosciuto. È sempre il solito discorso, banale e sublime intrecciati stuzzicano l’interesse e la voglia di proseguire. Separati, non vogliono dire nulla. Conta molto il carattere dell’autore, e mai prendere niente alla lettera. E la confezione del libro è importantissima: scappo immediatamente quando vedo biografie finali che nemmeno un’inconsapevole comicità riesce a redimere.
Quali sono i libri di poesia, citati nel Suo saggio, che in questi tre decenni ha amato di più? E quelli che a Suo parere sono stati i più significativi nel panorama della letteratura italiana?
Dovrei fare dei nomi, scelti fra quelli contenuti nel volume, e non mi sembrerebbe elegante. Nonostante questo ho le mie simpatie: Cagnone, Sicari, Viviani, Anedda, Spatola, Frabotta. Stravedere per Amelia Rosselli, infine, non mi ha permesso alcuna scrittura. Per ora. Voilà.
Che cosa pensa della situazione nella quale verte attualmente il mondo della critica letteraria italiana?
Quale critica? Se parliamo di poesia, raro è trovarne di consultabile con favore. Alcuni studiosi non si addomesticano a polemiche pretestuose e volgari, e non passano il tempo a etichettare qualunque cosa, anche se spesso si lasciano irretire da peripezie filosofiche che poco hanno a che fare con la poesia. Se intendiamo altro, amo molto leggere gli articoli di Alessandro Piperno.
Che cosa a Suo giudizio rende un testo poetico degno di attenzione? Che caratteristiche deve avere una raccolta poetica per essere considerata un’opera letteraria riuscita?
Un libro di poesia deve avere fedeltà, evitare il pettegolezzo, evitare d’imitarsi, affrontare il vuoto delle parole, e soprattutto non contenere destrezza.
Elio Grasso è nato a Genova nel 1951. Critico per “Pulp Libri”, “Poesia”, “Capoverso”, “Gradiva”, “Italian Poetry Review”, “La dimora del tempo sospeso”, ecc. Fra i suoi libri: Avvicinamenti (Ripostes, Roma-Salerno 1983), L’angelo delle distanze (Edizioni del laboratorio, Modena 1990), Nel soffio della terra (Guardamagna, Varzi 1993), La prima cenere/Conservatori del mare (Edizioni del laboratorio, Modena 1994), La soglia a te nota (Book, Castel Maggiore 1997), L’acqua del tempo (Caramanica, Marina di Minturno 2001), Tre capitoli di fedeltà (Campanotto, Pasian di Prato 2004), E giorno si ostina (Puntoacapo editrice, Novi Ligure 2012), Varco di respiro (Campanotto, Pasian di Prato 2014), Il cibo dei venti (Effigie, Pavia 2015), Lo sperpero degli astri (Macabor 2018). Ha tradotto i Four Quartets di T. S. Eliot (Raffaelli, Rimini 2017), oltre ai Sonetti di W. Shakespeare (Barbès ed., Firenze 2012) e poesie di E. Carnevali (via del Vento ed., Pistoia 2012) e P. Neruda (Crocetti ed.). Nel 2020 è uscito Anni di poesia. Recensioni e interventi 1985-2019 (Puntoacapo editrice).