Tra i tópoi che dalla fantascienza sono passati all’immaginario della letteratura non di genere, il viaggio nel tempo è uno dei più suggestivi e forse quello di più vecchia data, insieme all’uomo meccanico – il robot di Karel Čapek – e al vaso di Pandora della scienza: il mostro di Mary Wollstonecraft Shelley. La macchina del tempo di Herbert George Wells permette una serie di intrecci narrativi il cui fascino è straordinariamente simile ai grandi paradossi della scienza – e che anticipa di almeno tre decenni quel gusto stravagante per la reductio ad absurdum che si è diffusa per spiegare gli effetti apparentemente anti-scientifici della meccanica quantistica.
Per tutto il Novecento, un importante filone della science fiction si è occupato di esplorare i numerosi risvolti del viaggio nel tempo, e che si possono in massima parte suddividere in due diversi approcci. In primo luogo, una concezione deterministica/fisica, l’immutabilità del passato, vale a dire l’impossibilità di cambiare ciò che già è stato: secondo una logica rigorosa, spazio e tempo formano un continuum, e siamo noi a percepire il secondo come già trascorso. Non sono molte le opere in questo filone, che offre minori possibilità narrative; valga per tutti I.N.R.I. (Behold the Man, 1969) di Michael Moorcock, nel quale il viaggiatore a ritroso parte per osservare l’avventura di Gesù e, sgomento per non trovarne la minima traccia, finisce naturalmente per impersonarlo.
Molte più ricadute narrative offre invece il filone opposto, quello che racconta un’azione volontaria per cambiare il corso della Storia (esempio tipico, l’eliminazione di Adolf Hitler prima che fondi il nazionalsocialismo), che ha come conseguenza o uno sdoppiamento della realtà in due universi “paralleli” (con riferimento alla MWI, Many Worlds Interpretation del fisico quantistico Hugh Everett), o un “assestamento” del presente storico del viaggiatore lungo un corso differente, perché il suo intervento nel passato ha prodotto un “effetto farfalla” con conseguenze a cascata.
Il romanzo di fantascienza femminista di Annalee Newitz, scrittrice statunitense di fantascienza e analista dell’Electronic Frontier Foundation, appartiene al secondo tipo: il conflitto narrativo è costruito su una guerra tra due gruppi di avversari che viaggiano nel tempo con il proposito di modificare il presente in maniera definitiva. Rispetto alla vasta casistica di opere simili, The future of another timeline, pubblicato negli USA nel 2019, offre due novità di grande originalità:
1 – Il viaggio nel tempo è permesso grazie a cinque “macchine” dislocate nei diversi continenti, dall’Africa all’America settentrionale all’Asia, che sembra esistano dalla notte dei tempi, o quantomeno dal periodo Ordoviciano (Paleozoico, circa 450 milioni di anni fa): sono opera di una civiltà extraterrestre? Sono insite nella natura dell’universo? La loro esistenza non è al centro della trama; è chiaro, tuttavia, che il romanzo è ambientato in un continuum spazio-temporale diverso dal nostro perché le macchine si ritrovano in ogni presente alternativo.
2 – Il conflitto narrativo è costruito intorno alla lotta senza quartiere tra le Figlie di Harriet, un gruppo organizzato di femministe che provengono da più secoli successivi, e i seguaci dell’attivista anti-vizio Anthony Comstock (1844-1915); la “spia” che indica il prevalere di una fazione o dell’altra è rappresentata dalla legalizzazione o meno dell’aborto, pietra miliare dell’emancipazione femminile.
La narrazione si svolge principalmente tra due piani temporali, con due protagoniste: l’adolescente Beth che nel 1992 vive in una desolante cittadina californiana (Irvine, dove l’autrice è nata e cresciuta), e si trova progressivamente coinvolta in una spirale sanguinosa di delitti “di genere”; e Tess, una donna più matura, membro delle Figlie di Harriet, che viaggia nel tempo per opporsi attivamente, ma in maniera non-violenta, ai comstockiani.
Teatro principale della contrapposizione è la Fiera Colombiana del 1893 a Chicago, dove Anthony Comstock ottenne i primi successi della sua carriera di moralista a scapito delle libertà che le donne cominciano a conquistare a fatica. La necessità di aggiornare in continuazione il lettore sugli effetti presenti dei cambiamenti operati nel passato introduce un elemento di complessità che non è semplice da gestire, ma Newitz riesce a trasformare la questione “aborto legale” in un tema che risuona in entrambe le trame, sia nel privato delle personagge che nel pubblico dell’azione diretta.
Avevamo già letto il precedente romanzo dell’autrice, Autonomous, tradotto sempre per Fanucci, una storia originale sul rapporto umano/artificiale e sulla libertà di ricerca, che introduceva in più il tema di un’ulteriore identità sessuale che va oltre il dualismo maschio/femmina. Il futuro di un altro tempo fa un passo più in là, portando in scena personaggi LGBTQ+ la cui identità sessuale non ha nulla a che vedere con la trama: e in un genere letterario come la fantascienza, che si sta polarizzando sempre più tra una tendenza conservatrice e un’altra libertaria, mi sembra una novità non trascurabile.