La distopia non abita più qui

Anna Wiener, La valle oscura, tr. Milena Zemira Ciccimarra, Adelphi, pp. 309, euro 19,00 stampa, euro 9,99 epub

Qualcuno pensa che non sia vero. Che bisogna mettere in riga i nipoti di un Novecento scomparso e lontanissimo nell’immaginario di questi qui. Non sono nemmeno più figli di un DOS governante i sogni e le curatele “informatiche” delle origini. Non scomodiamo i soliti Dick e Ballard: anche per loro, nonostante riedizioni vecchie e già celebratissime ancora in divenire, il tempo e le generazioni senza accorgersene ne consumano chiavi e itinerari. Le tristezze digitali, e la povertà economica, s’estendono minacciose oltreoceano, e leggendo libri come La valle oscura si capisce che, per esempio, tra New York e San Francisco gli spazi e le distanze si sono enormemente allargati. Non che in precedenza il buon sangue scorresse a fiumi, ma l’andare avanti e indietro per gli States generava fiabe interiori e s’inventavano nuovi cocktail capaci di espandere (non si diceva così?) la coscienza.

Sembra che una bomba a neutroni sia esplosa, che suburbie e grattacieli siano ancora in piedi mentre nella testa degli abitanti qualcosa deve essere accaduto. Nel cloud sono rinchiusi i brandelli della realtà, il gas dei sogni e in definitiva parecchi milioni di dollari virtuali che bruciano e si rigenerano ogni secondo. Inutile appellarsi agli scrittori di frontiera, là dove i due Oceani chiudono a Est e a Ovest i confini, perché poi paura e paranoie non sono più fra noi. Anna Wiener, nel memoir scritto in cinque anni di lavoro, descrive i suoi spiazzamenti e le disavventure in chance ammirate come tali e subito dopo sciolte in spazi enormi dove miriadi di maschi in calzoni corti divorano tramezzini immangiabili, creano app già antiquate il giorno dopo e investono centinaia di migliaia di dollari nell’ultimo arrivato. Già, perché le donne in quegli ambienti stanno a zero, e le conseguenze per Anna negli spazi della Silicon Valley sono deleterie nonostante centinaia di colazioni e party stabiliti lì per lì da amministratori delegati apparentemente fuori sesto. Ma le startup creano di per sé decaloghi per vite sorvegliate (gli stessi membri del gruppo Soluzioni), al netto dei sorvegliati che a loro volta sorvegliano il resto del mondo catturandone miliardi di dati. Il ping-pong del big data. E che dire del giocare realmente a ping-pong in spazi di lavoro disegnati come appartamenti e viceversa?

Abbandonata alle strategie per cinque anni, Anna Wiener infine scrive Uncanny Valley. Termine che oggi, oltre al significato originale di “zona perturbante”, è rivolto a quanto desta nella mente degli umani la figura di robot antropomorfi, simili all’androide Sophia della Hanson Robotics di Hong Kong rappresentato in copertina. Dopo un po’ l’ammirazione cede il posto a sconcerto, inquietudine e infine paura. “Troppo realismo fa male”, si diceva già in pieno Novecento. Figurarsi dopo l’avvento di un immaginario trasformato, a valle dei Replicanti, in realtà visibile e documentata. Ma anche i robot quadrupedi messi a punto dalla Boston Dynamics partecipano alla produzione di angoscia e svariate polemiche. Il sibilo dei meccanismi da una parte e la voce sintetica dall’altra aumentano l’impressione di un pericolo ignoto e imminente. “Qualcosa non va” è un pensiero difficilmente ignorabile, ma la misoginia degli ambienti frequentati e descritti nella Valle oscura, e il lancio di prodotti digitali che brillano invece per assenza di meccanismi visibili, sono altrettanto, forse maggiormente, allarmanti.

Potremmo probabilmente divertirci leggendo le avventure di questa ragazza che passa dallo stato di semplice redattrice e correttrice di bozze a abitante di una specie di Oltremondo magmatico e difficilmente comprensibile. Tra caminetti finti e lunch presunti tali a base di salumi untuosi, scariche indotte di endorfine, correzioni di rotta inspiegabili, e relazioni a tre rimediate tramite app, assumersi la patente di guastafeste femminista può essere scomodo. Che fare quando sessismo e oggettificazione sono ovunque, come “carta da parati, come l’aria?” Sentirsi in colpa, soprattutto se si è ebrei. E di fronte a una avance dell’influencer maschio in monopattino che amabilmente se ne esce con la frase: “adoro uscire con le donne ebree”, una risposta possibile, questa sì divertente e in perfetto umorismo ebraico, è: “Grazie, mi piacerebbe essere mantenuta”. Dentro siffatte avventure il valore delle azioni ammonta a centinaia di migliaia di dollari, però non si tratta di avventure ma di sopravvivenza e rasentare i muri del potere, per poi entrarci dalla porta di servizio, dà la sensazione di un certo (negli States) patriottismo. È facilmente scordabile però, vedendo le porte sbiadire e scomparire come nei più triti film o serie distopici.

Bravissima Anna Wiener a descriverci l’iconografia di quella parte di mondo, i suoi affiliati e le ideologie sottese, non è un caso che la sua opera sia tanto acclamata negli USA. Le sue origini umaniste le permettono deduzioni inimmaginabili per gli indigeni della Silicon Valley. Sulle seduzioni dell’analogico, specialmente in letteratura, si è abbattuta la disruption, la frattura che una volta sbarcati a San Francisco, qualche anno fa, faceva sciogliere i borsoni con cui arrivavi, e tutto il loro contenuto.  A quel punto Anna, e molti altri, ebbero ben chiaro che nemmeno sapevano come quella realtà fosse fatta. Ma la stavano attraversando.