Anna Politkovskaia conosce bene la storia della guerra infinita della piccola Repubblica caucasica: vi è stata decine di volte per documentare con una buona dose di sprezzo del rischio i soprusi continui, gli omicidi, le sparizioni e le minacce che le truppe di Putin infliggono alla popolazione civile nella totale impunità. Leggere il suo reportage oltre i luoghi comuni del “terrorismo fondamentalista” e della “difesa delle democrazie” è una lezione su come oggi si eserciti il potere sotto l’etichetta, buona per tutti gli usi, della “guerra al terrorismo”.
Secondo Politkovskaia il primo a beneficiare della guerra cecena e ad alimentarla nei modi più sporchi e cinici è Putin stesso con l’aiuto dei servizi segreti, dai cui ranghi notoriamente esce. Le fortune politiche di Putin nascono infatti sull’onda dei sanguinosissimi attentanti che diventano il pretesto per lo scatenarsi della seconda guerra cecena e danno al nostro l’occasione d’oro per costruire da una parte il nemico fondamentalista e dall’altra il proprio consenso in quanto uomo forte e d’ordine in una Russia umiliata e impoverita in cercadi “riscatto”.
Inoltre, aggiunge Poliykovskaia, nonostante i roboanti proclami – “li andremo a scovare fin nei cessi” – è il Cremlino a sostenere l’ala “orientalista” della resistenza contro quelle “occidentalista”, peraltro più numerosa.
Attualmente in Cecenia non esiste più alcuna forma di resistenza organizzata e la società civile è completamente disgregata, in mano alla cosiddetta Terza Forza, cioè bande formate da privati sia caucasici che russi raggruppate per ragioni personali di vendetta e che hanno fatto della guerra il proprio business.
E l’Occidente? Berlusconi ci assicura che l’amico Putin conduce le sue questioni in Cecenia con tutti i crismi delle garanzie, e gli altri “lo corteggiano (…) per la sua capacità di “contenere la Russia” nei limiti consentiti, senza preoccuparsi troppo dei messi che il potere russo utilizza per farlo”.
Pubblicato su PULP Libri n° 48, marzo /aprile 2004