Risulta difficile leggere il memoir Tagliare il nervo senza trovare nel vagabondare di Anna Pazos una via che non abbiamo noi stessi percorso, un pensiero o conclusione a cui non siamo giunti in qualche luogo sperduto della nostra giovinezza, come una reminiscenza dell’universale sensazione di quanto sia complicato trovare il nostro posto nel mondo. Non è nemmeno certo, come accade all’autrice, di riuscire nella gigantesca impresa di radicamento che sentiamo essere il naturale epilogo esistenziale. Pazos rappresenta la quintessenza del nervo scoperto di una giovane generazione irrequieta, che si sente profondamente confusa e sopraffatta dal desiderio di sentirsi inestricabilmente parte della terra in cui cammina, di lasciare un’impronta del proprio passaggio e di sentirsi amata. L’autrice stessa insegue questo nervo scoperto con “illimitatezza, possibilità e urgenza” per tutto il decennio che caratterizza i suoi vent’anni, scoprendo nella paura della mediocrità il desiderio di essere costantemente altrove.
Solo l’ignoto sembra offrire nuovi colori a occhi abituati al grigiore di un’esistenza stretta e usurata. Davanti allo sguardo del lettore si delinea la traiettoria, più che variopinta, che Pazos percorre febbrilmente a vent’anni: dapprima in Erasmus a Salonicco, in Grecia; a Gerusalemme, in Israele, coprendo il conflitto israelo-palestinese nel crescendo delle tensioni nel 2015; a Smirne, in Turchia, in compagnia di Guillermo, un uomo di cui si innamora e che la porterà poi in un viaggio in barca a vela fino all’equatore; poi ancora a New York, dove ottiene una borsa di studio. Fino a quando la pandemia la riporterà a Barcellona, il punto di partenza dove tutto confluisce.
Mentre l’autrice cresce, matura, cade e si rialza, evolvono le sue convinzioni sul senso di appartenenza e radicamento, sull’afferrare lo spirito più intimo del luogo che ci accoglie, sul significato dell’amore e della ricerca di una casa, per il corpo e per l’anima, dove sentirsi in pace. All’inizio del suo pellegrinare Pazos è in balia della passione e dell’istinto tachicardico della carne, che brama ciò che vede e vuole possederlo, stringerlo, sentirlo sulla propria pelle, rendendolo il “punto nodale” di ogni esperienza. In questo modo si instaura, nel tempo, un ricercare momenti e punti di partenza dalla paura dell’ordinarietà che l’autrice sperimenta costantemente dopo un lungo periodo inerme nello stesso luogo, fondendoli con le persone con cui sperimenta amicizia, amore, avventura. Arrivata al nucleo di quelle relazioni, tuttavia, l’autrice rivela l’infatuazione iniziale come un’idealizzazione astratta. Comincia a sentirsi nuovamente un nervo scoperto, irrequieta, senza le forze necessarie per porre fine a legami usurati, e sollevata qualora le maree degli eventi nel mondo la spingono lontana. Nell’alto mare dei suoi ventotto anni Pazos inizia a percepire il desiderio febbrile di trovare un porto sicuro, qualcuno con cui “intraprendere il lungo cammino verso casa”: raggiungere una stabilità nel mondo, diventare adulti consapevoli, avere delle mani che ci supportino quando cadiamo. L’eccitazione stessa del cambiamento repentino e volontario – così agognato inizialmente, con la sua imprevedibilità e il suo fascino – si rivela essere una sensazione transitoria, finendo per essere assorbita nella quotidiana lotta per dare una forma al tempo che ci si dipana incessantemente davanti agli occhi.
Tagliare il nervo è un memoir vibrante, dove Pazos si riflette nello specchio generazionale della ricerca di sé in un mondo caotico. Ci sentiamo in transizione verso un qualcosa di indefinito, sussurra l’autrice, con le mani tese in avanti cercando di afferrare l’anima del paese che ci ospita e lo spirito che domina la vita della sua popolazione, talvolta sfuggente ai nostri arti indolenziti dalla schiacciante paura di capire chi siamo. Con una scrittura intima e sincera, senza il timore di guardarsi dentro, Pazos richiama l’agitazione di fronteggiare la possibilità dell’errore e l’angosciante sensazione di essere in ritardo nella vita, finendo per anestetizzare quel nervo che scuote le fondamenta di ogni cosa.