Nel caso qualcuno volesse prendersi la briga di valutare se e come è cambiato il ruolo del padre nella società italiana degli ultimi decenni, non deve far altro che prendere tra le mani uno dei tanti libri di narrativa che affrontano questo argomento. Sono libri che si descrivono direttamente dei fatti e delle emozioni, e non indulgono in ragionamenti più adatti all’antropologia culturale che alla letteratura.
È il caso di scrittori maschi come Andrea Pomella e Tommaso Giagni, ma soprattutto è il caso di donne che su questo piano hanno coraggiosamente provato a forzare certi paradigmi legati al ruolo paterno, alla sua memoria e alla sua sessualità per riprendersi un passato molto originale di cui tutti hanno parlato ma non tutti hanno vissuto. Penso a Marta Barone, che scandaglia il passato di militanza politica del padre a pochi mesi dalla sua morte. Penso a Nadia Terranova, drammaticamente legata a un padre che cercò di impegnarsi nella “rivoluzione”, ma che si perse poi nella giostra perversa del mondo della tossicodipendenza. Penso soprattutto a questo romanzo, Il grande me, che è ultima fatica editoriale di Anna Giurickovic Dato.
Per la giovane scrittrice di origini siciliane, in realtà, il tema del rapporto con il padre ha un ruolo centrale anche nel suo primo libro, La figlia femmina, (Fazi, 2017), in cui affronta, in modo diretto, lo scottante tema degli abusi paterni subiti dalla figlia di un diplomatico italiano, mettendo in evidenza non solo l’aspetto violento e prevaricatore della relazione ma anche i profondi tratti di ambiguità.
Discorso radicalmente diverso, oggi, per Il grande me. Al centro della storia troviamo il racconto del dolore della perdita che si va profilando. A pochi giorni dalla morte, che sente imminente, Simone chiama a raccolta i suoi tre figli per tentare di stilare un bilancio della sua vita e dei suoi affetti. A tenere le fila della narrazione è ancora una volta la figlia femmina, Carla, che insieme ai fratelli, in un primo momento assiste incantata alla ricostruzione della memoria del padre da giovane.
L’elemento che diviene progressivamente importante nella narrazione è la trasmissione di un’esperienza, di una serie di accadimenti e di sensibilità che non furono solo individuali ma, mai come accadde un tempo, anche indissolubilmente collettive. Questo tratto accomuna la biografia delle altre figure paterne dei romanzi citati precedentemente. Tutti nati tra gli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, e tutti che hanno tutti vissuto, chi felicemente e chi malamente, il radioso periodo della contestazione giovanile, dell’esplosione creativa nella musica, nelle arti, nel cinema, nella politica, nella letteratura, nelle relazioni personali.
Le pagine del padre che ha vissuto l’impegno politico, ma soprattutto le pagine che descrivono il padre cantante e chitarrista rinvigoriscono talmente tanto il ricordo della figura paterna da creare anche momenti di rimpianto e di malinconia nei figli che hanno condiviso troppo poco gli interessi e le passioni del genitore.
Nonostante tutto, per Anna Giurickovic Dato la figura paterna, per tutto il libro, non perde mai il suo ruolo di riferimento normativo, di autorità anche morale. Simone è un padre rispettato oltre che amato, anche se i figli, in modo diverso se ne sono allontanati, per proseguire legittimamente la propria vita, altrove.
Lentamente la vita di Simone si affievolisce e si spegne. Di conseguenza cresce di intensità e di quantità l’attività di accudimento dei figli. Ma, poco prima di salutarli per sempre, il padre rivela loro un segreto di grande importanza.
Ecco allora che si completa la costruzione della figura paterna alla luce della sensibilità contemporanea. C’è la ricostruzione di una giovinezza che la memoria “ufficiale” ha voluto schiacciare sotto una lastra di… piombo cancellando artatamente tutto quello che di grande e di bello era stato fatto. E soprattutto c’è la ricostruzione di una figura da amare e stimare ma non priva di debolezze e non lontana da errori. E proprio per questo più umana e più vicina.