Anna Curcio / Per un antirazzismo concreto e trasversale

Anna Curcio, L’Italia è un paese razzista, DeriveApprodi, pp. 144, euro 16,00 stampa

L’Italia è un paese razzista è una di quelle pubblicazioni che ti auguri diventino libro di testo perché offre con limpidità e chiarezza un’analisi – al contempo storica e politica – delle dinamiche di razzializzazione che nutrono la logica moderna del capitale, tanto nella sua versione inaugurale dell’espansione coloniale europea che nella versione contemporanea di sfruttamento opportunista della miseria indotta dalle migrazioni forzate dal sud globale. In un panorama italiano di pubblicazioni che stanno finalmente raggiungendo una massa critica di traduzioni dall’inglese e dal francese di autori e autrici provenienti dall’alveo del pensiero radicale femminista nero e postcoloniale, il testo di Curcio costituisce un contributo importante al dibattito corrente, offrendo uno sguardo lucido e comprensivo sulle specificità del razzismo in Italia, la sua genealogia storica e le lotte contemporanee. Il libro inaugura la collana di DeriveApprodi hic sunt leones, dedicata all’analisi del ruolo strutturante che razza e razzismo hanno giocato e continuano a giocare, spesso in modo subdolo, nella modernità. Come ben dicono nel trafiletto introduttivo la stessa Curcio e Miguel Mellino, la collana si propone di affrontare il tema «fuori da stereotipi e luoghi comuni, a partire da un presupposto: il razzismo non riguarda l’“altro”, ma ognuno di noi».

“L’infrastruttura della violenza”, che i processi di razzializzazione e subordinazione di genere impongono sulla materialità relazionale dei corpi a essa esposti, costituisce uno dei nuclei analitici portanti del lavoro di Curcio nel suo saggio. Non si tratta però di comprendere la razzializzazione come processo di degradazione umana dell’“altro”, ma come distribuzione di privilegio sociale e dunque il nucleo forte dell’analisi si sofferma sui processi di produzione della “bianchezza” italiana le cui gradazioni di valore sono state e continuano a essere modulate in relazione alla “colonialità” intrinseca della narrazione europea della propria modernità. Nella prima sezione del libro, dedicata all’“Invenzione della razza”, Curcio offre un’importante carrellata storica e metodologica che situa razza e razzismo all’interno di processi materiali di accumulazione originaria e distribuzione di valore dei corpi propri del rapporto capitale-lavoro moderno, sia nella sua versione coloniale-schiavista inaugurale che nella sua versione neoliberista (e più subdolamente neocoloniale) contemporanea. Il capitolo dedicato alle genealogie del razzismo in Italia è particolarmente efficace per come mette in relazione la “doppia traccia” del razzismo interno e coloniale-imperiale, mettendo a fuoco sia il carattere mobile e dinamico dei processi di razzializzazione di popolazioni rese subalterne dal colonialismo e dai discorsi civilizzatori del nord europeo, sia il nodo ancora irrisolto dell’amnesia storica del razzismo coloniale pre-fascista. Su quest’ultimo punto, la diagnosi di Curcio è precisa: la frattura del secondo dopoguerra ha fatto sì che l’antifascismo fondante dell’Italia repubblicana abbia espunto per intero la narrazione razzista della nazione alla base della sua espansione coloniale, riducendone le responsabilità storiche esclusivamente a “vizio ideologico del nazifascismo”, e impedendo così un confronto oggi più che mai necessario con l’eredità coloniale del paese.

Dal mito degli italiani “brava gente”, ai penosi affossamenti dello ius soli da parte di forze istituzionali di sinistra, fino alle ipocrisie omicide dei discorsi dell’accoglienza, Curcio dimostra a più tornate i limiti dell’antirazzismo umanitario dominante, un antirazzismo dei buoni sentimenti, disincarnato e multiculturalista d’immagine, che di fatto mantiene le gerarchie di razza e genere esistenti e resta incapace d’intervenire nei processi materiali in cui razza e subordinazione di genere funzionano da dispositivi che aumentano la vulnerabilità strutturale dei corpi alla perenne precarizzazione lavorativa e marginalizzazione sociale del (dis)ordine neoliberista (e oggi guerrafondaio) contemporaneo.

La sezione centrale del libro, dedicata a scritti d’occasione che commentano su fatti di cronaca degli ultimi dieci anni, illustra questi meccanismi in modo vivido e concreto, dimostrando bene «il reciproco alimentarsi delle retoriche di destra e di sinistra, dove l’immagine dell’invasore che minaccia le condizioni di vita degli italiani si somma e sovrappone a quella della vittima in cerca di accoglienza e protezione». Curcio dimostra bene come lo sdoganamento del razzismo dichiaratamente fascista degli ultimi anni s’inserisce in una linea di continuità con l’amnesia storica di un passato coloniale mai elaborato e le cui gerarchie razziali costituiscono il ritmo basso di fondo che struttura i rapporti di potere economici e sociali nel paese fin dal suo incipit.

In contrappunto all’impasse di un antirazzismo buonista ed elitario incapace di agire fuori da «rapporti asimmetrici di debolezza e carità», Curcio rende visibili altri percorsi e pratiche antirazziste che si sono mosse, specialmente nella seconda metà degli anni dieci, in modo trasversale, costruendo alleanze che hanno sbaragliato le gerarchie di razza e genere a partire da una soggettivazione autonoma, antagonista e solidale tra lavoratori e lavoratrici tartassati dalle logiche di sfruttamento opportunista del capitale contemporaneo che attinge a man bassa da immaginari coloniali mai estinti per il proprio profitto. Le lotte della logistica di distribuzione nella pianura padana dimostrano in modo chiaro cosa e quanto sia possibile quando si attiva un antirazzismo che parte dalle condizioni materiali d’esistenza e non si lascia intrappolare da seduzioni di riconoscimento identitario.

In un momento storico in cui la solidarietà intrinseca di colonialismo e capitale sembrano avviarsi ad un trionfo fascista guerrafondaio e genocida di scala tanto inaudita quanto familiare perché profondamente legato ai genocidi e i furti umani fondanti del progetto coloniale-imperiale della modernità euro-americana (con le atrocità israeliane sulle popolazioni indigene palestinesi a fare da modello tecnologico per il crudele salto di qualità delle necropolitiche di massa a venire sia in Europa che negli Stati Uniti), le analisi e la memoria storica presenti nel saggio di Curcio costituiscono un importante richiamo di realtà al dato strutturale del razzismo contemporaneo. Un dato che non può essere ricondotto alla psicologia individuale né schiacciato sull’emergenza delle migrazioni. È ora di interrogare e intervenire sul «razzismo quotidiano nelle scuole, sul lavoro, nei quartieri» proponendo un «orizzonte strategico di nuova composizione politica dei soggetti che stanno pagando i costi di una crisi infinita». E questo libro costituisce un contributo essenziale alla lotta.